Matteo Salvini non ha davvero bisogno di consigli: il suo successo è così esteso per dimensione e così profondo per radicamento, da rendere patetica la pretesa di chiunque di dare “spiegazioni”.
Dunque, nessun consiglio, ma – questo sì – un doppio auspicio. Per un verso, che inizi a pronunciare, o pronunci di più, la parola “libertà”. Ha già il connotato del leader forte; ha già la caratteristica del politico che vuole restaurare – dove e quando serve – il ruolo dello stato. Dunque, è l’ora di valorizzare un altro aspetto, che finora, a me pare, è rimasto molto in ombra nel suo “racconto”: il ruolo degli individui, della società, dell’auto-organizzazione dei privati.
Per altro verso (secondo auspicio, in questo caso di matrice reaganiana), che scelga un approccio anche emotivo di tipo più ottimistico. E’ stato detto – parlando degli Usa – che quelli che assistevano a un discorso di Ronald Reagan se ne tornavano a casa in uno stato d’animo di positività, mentre quelli che escono da un comizio di Trump se ne vanno via pronti alla battaglia. Anche questo secondo “mood” è positivo, quando serve (e serve: sia in America che in Italia!). Ma, proprio come per Trump, anche Salvini incarna già una dimensione di lotta, positivamente percepita da tanti elettori. Forse è venuto il momento di dare un altro segnale, più positivo, sereno, di costruzione. In fondo, non essendo sfidato da nessuno, non avendo competitor, non avendo alcuna opposizione credibile, il leader leghista potrebbe decidere una postura più distesa.
L’ultimo auspicio riguarda invece il variegato mondo intellettuale che gravita nell’area sovranista. Anche in questo caso, dall’esterno, mi permetto un augurio. Giusto, anzi sacrosanto, bastonare i “liberal”, i mandarini del politicamente corretto, i ventriloqui di Bruxelles e dell’austerità. Ma sarebbe il caso di non confonderli con i liberali e con il liberalismo. Purtroppo, non da ora (per una volta, ahimé, l’inglese non aiuta), il sostantivo “liberalism” è diventato equivoco e quasi infrequentabile, nel senso che viene declinato quasi sempre in versione liberal e di sinistra. Ma esistono anche altre cose ben diverse (e positive): un liberalismo classico, un approccio pro-mercato e pro-individuo, un thatcherismo anti-Bruxelles, un orientamento anti-tasse e pro-crescita, che sarebbe sbagliato confondere con i “liberal”. Meglio, molto meglio, far tesoro anche di quelle sfumature liberalconservatrici, di quegli approcci, di quegli orientamenti. Capaci – e non è poco – di inoculare preziosi anticorpi contro il virus dello statalismo, di una mano pubblica troppo estesa, di una fiducia eccessiva nel ruolo dello stato.
Daniele Capezzone è commentatore per “La Verità” e “Atlantico quotidiano”.
Scrivi un commento