Era dagli anni 70, dai tempi di Breznev, che non si vedeva più un leader russo esporre al mondo una grande visione ideologica – premessa e fondamento di un disegno politico altrettanto grande. Oggi Putin, dalle pagine del Financial Times e non più della Pravda, racconta che il liberalismo, inteso come riferimento ideale dell’Occidente, è esaurito, che nel mondo esistono e si rivelano più efficaci altre forme di pensiero politico, che la globalizzazione guidata dagli interessi finanziari anglosassoni si è arrestata e che l’ordine mondiale – ormai articolato su varie potenze – è in pericolo (soprattutto perché gli americani non prendono atto della nuova realtà).
Sono due i motivi che, al di là del contenuto, rendono importante l’uscita di Putin. Il primo è la rinnovata ambizione ideologica della Russia. Il secondo, ancor più rilevante, è che oggi nessun’altra grande potenza fa altrettanto. La Cina trabocca di orgoglio nazionale per la propria ascesa mondiale, ma non cerca proseliti per la sua ideologia confuciana (con base comunista) e anzi patisce i danni di immagine che le arrivano dalla vetrina di Hong Kong – offerta al mondo e ora bruscamente infranta. Gli Stati Uniti, che riflettono sui fallimenti dell’esportazione di democrazia e sui limiti dell’idea di un’economia in perenne espansione (che aggiusta i guai del mondo), oggi pensano soprattutto a rivedere equilibri di potere che, dopo anni di distrazione, scoprono penalizzanti. L’Europa è impegnata ad applicare su basi continentali il manuale Cencelli.
Esporre una visione ideologica attraente su scala mondiale dà vantaggi. Permette di trovare quasi gratis alleati e fan all’estero, accresce il prestigio nazionale, influenza le strategie altrui. Putin gioca la carta ideologica proprio adesso probabilmente perché la partita fra le tre principali potenze sta arrivando a una stretta. Gli Stati Uniti attaccano la Cina, ma tutto potrebbe anche risolversi in un accordo generale che deprimerebbe la pozione russa, l’alleanza tra Cina e Russia si rafforza ma ha irrisolte debolezze strutturali, le aperture a Mosca che Trump talvolta lascia intravvedere rischiano di essere affondate dall’ostilità assai forte a Washington.
I vecchi equilibri di potenza sono saltati da tempo, quelli nuovi non si vedono all’orizzonte. La Russia, unico Stato che oggi nel mondo dialoga con tutti (Israele e Iran, Corea del Nord e Giappone), vede ampliarsi gli spazi per un’azione da protagonista. L’offensiva ideologica ne è anticipo e spot.
Antonio Pilati è stato componente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e consigliere d’amministrazione Rai ed è autore di numerosi saggi sui media e sulle relazioni internazionali.
Scrivi un commento