Le ultime elezioni hanno sancito il deficit di iniziativa politica della sinistra italiana. Tanto il PD quanto i “cespugli” scontano l’incapacità di portare a termine un profondo rinnovamento programmatico, comunicativo e dei gruppi dirigenti. Ma anche dal punto di vista teorico da anni ormai si naviga a vista. Le ragioni sono molteplici, ma una colpisce più di tutte: come si può pretendere di avere iniziativa politica se si rifugge l’orizzonte della sovranità? Se della sovranità, addirittura, si fa un -ismo come tanti, oltretutto da combattere? Una tautologia (lo spazio della politica è lo spazio della sovranità) è così trasformata in uno spauracchio.
La sovranità, infatti, non è un’opzione politica tra le tante, ma costituisce l’arena stessa del politico, il luogo della lotta per il potere. A meno certo di non voler pensare che sia dietro l’angolo la trasformazione del Paese in una libera federazione di comuni, prospettiva comunque già superata 150 anni fa da Andrea Costa nella celebre Lettera agli amici di Romagna, il manifesto fondativo della sinistra politica del nostro Paese.
Il sovranismo non può dunque essere affiancato al socialismo, al liberalismo o al nazionalismo come ideologia. Socialismo, liberalismo e nazionalismo costituiscono modi diversi di declinare la sovranità – l’ultimo inteso come volontà di stabilire la sovranità di un popolo a discapito di quella di altri popoli.
Il problema è dunque quello di che fare all’interno dell’orizzonte della sovranità, e prima ancora, a monte, stabilire chi la sovranità la debba esercitare. Si può preferire – e questo è riflesso nell’impianto istituzionale che formalmente regge l’Unione europea – che la sovranità popolare sia contemperata, se non sostituita, da quella dei mercati. La dottrina neoliberale di von Hayek lo teorizza apertamente, ed in Italia questo concetto è stato spesso declinato a sinistra col ricorso al “vincolo esterno”. Il federalismo europeo presupporrebbe dal canto suo il pieno dispiegarsi di una sovranità continentale, prospettiva che pare di là da venire, sostituita dall’egemonia nazionale tedesca.
La sinistra dovrebbe ribaltare questa visione, in nome del pieno ripristino della sovranità popolare ed una sua declinazione in termini che non possiamo non dire socialisti, di sviluppo equilibrato, di un’economia piegata a questo obiettivo primario e non ultimo di cooperazione internazionale.
Se si rifugge la sovranità si rifugge la politica e si cade necessariamente nell’irrilevanza.
Tommaso Nencioni, storico, è direttore di www.sensocomune.it
Si cade nell irrilevanza se si è irrilevanti. Rammento che la rilevanza è costituita da una pluralità di fattori quale indipendenza economica, indipendenza energetica, sufficienza nella Difesa e, non ultima, capacità culturale. L Italia, al momento, non ha nulla di tutto questo e non sta facendo NULLA per migliorare la sua situazione. Da cio ne discende il sovranismo di cui si parla è solo velleitario e controproducente…a meno che non si spacci il fare i duri con quattro poveracci che arrivano via mare per sovranismo. Quello è solo fumo negli occhi per elettori miopi ed impauriti. Se si vuol fare i sovranisti bisogna giocare su altri tavoli ma questo costa ed il solito elettore miope ed impaurito, il cui orizzonte non si spinge oltre il bar dello sport e pay tv, di sicuro non vuol pagare…..e se gli parli di sovranismo serio….non ti vota.
Concordo in pieno con Tommaso Nencioni. Aggiungerei che al rischio irrilevanza si può aggiungere wuello forse più grave dell’anarchia. E a ben vedere segni di anarchia già ci sono, quando interpretazioni più o meno ideologiche del diritto portano ai fenomeni di delegittimazione delle istituzioni…