Lo scorso 9 luglio Jeremy Corbyn ha annunciato che i Labour chiederanno lo svolgimento di un secondo referendum sia in caso di accordo, sia in caso di ‘no deal‘, impegnandosi a sostenere l’opzione del Remain.
E’ la prima volta che il leader laburista si schiera sul fronte dei Remainers. La decisione, arrivata dopo un incontro con i capi di 12 grandi sindacati, segna la fine della politica della “constructive ambiguity” sull’uscita del Regno Unito dall’Ue adottata sin dall’inizio da ‘Jezza‘. A convincerlo, probabilmente, un calcolo elettorale maturato dopo aver visto Boris Johnson avviarsi alla guida dei Tories: vedendo il campo del Leave spartito tra due ‘duri’ come l’ex sindaco di Londra e Farage, Corbyn ha rotto gli indugi ed ha riposizionato il partito nella speranza di pescare nell’elettorato europeista finora monopolizzato dai Lib-dem.
Una svolta che determina la resa del leader ‘rosso’ alle pressioni dell’intellighenzia britannica, ma che non piacerà ad una parte consistente del suo elettorato, convinta della sensatezza della Brexit ed allergica alla prospettiva di un ‘tradimento’ della volontà popolare già espressa. D’altra parte, le ragioni dei Remainers rappresentano per molti un corpo estraneo alla tradizione laburista, come dimostra la carriera stessa di Corbyn: votò ‘no’ al referendum del 1975 sulla permanenza del Regno Unito nella Comunità europea, si espresse sia contro il trattato di Maastricht nel 1993, sia contro quello di Lisbona nel 2008, e nel 2011 si schierò in un dibattito a sostegno dello svolgimento del referendum sull’Ue. Il curriculum da euroscettico è coerente con una parte importante della storia dei Labours che nelle proprie fila hanno visto militare uomini come Tony Benn e Peter Shore, i quali vedevano nel progetto d’integrazione europea una minaccia per la sovranità del Regno Unito.
Un’argomentazione che oggigiorno, probabilmente, verrebbe bollata come “populista” da quelli che Ian Lavery, presidente del Labour ed espressione di quell’anima del partito che si richiama a quelle radici, ha definito “gli intellettuali di sinistra che scherniscono la gente comune”.
Nico Spuntoni è uno storico e vaticanista.
Scrivi un commento