Recentemente Donald Trump ha ribadito la sua volontà di prendere provvedimenti contro lo ius soli. Il presidente americano si era del resto espresso in tal senso lo scorso autunno, quando aveva annunciato di essere intenzionato ad agire attraverso un ordine esecutivo. Già all’epoca, numerosi critici si erano scagliati contro la proposta, sostenendo che il presidente non avesse l’autorità per smantellare un principio inscritto nel XIV emendamento alla Costituzione. L’accusa è tuttavia mal posta.

Il XIV emendamento stabilisce che “tutte le persone nate o naturalizzate negli Stati Uniti e soggette alla loro giurisdizione sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono”. Alcuni interpretano questa disposizione in senso largo, sostenendo che chiunque nasca sul suolo statunitense acquisisca ipso facto la cittadinanza americana. Il punto è che tale interpretazione non tiene conto della cornice concettuale in cui l’emendamento venne ratificato nel 1868. Il Civil Rights Act del 1866 (dal cui impianto l’emendamento deriva) stabiliva che cittadini fossero “tutte le persone nate negli Stati Uniti e non soggette a potere straniero”. In questo senso, l’essere soggetti alla giurisdizione di cui parla il XIV emendamento implica la piena fedeltà allo Stato e non una contingente subordinazione al suo ordinamento (come accade, per esempio, per i turisti o gli immigrati irregolari). Non a caso, il XIV emendamento venne approvato con lo specifico obiettivo di estendere la cittadinanza americana agli schiavi liberati e ai loro figli: figure che ricadevano pienamente (e quindi non parzialmente) al di sotto della giurisdizione americana.

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A riprova di questo stato di cose, si può citare una sentenza della Corte Suprema del 1884 (Elk v. Wilkins), che negava la cittadinanza a un nativo americano, in quanto costui doveva fedeltà alla sua tribù e non agli Stati Uniti, non ricadendo sotto la loro giurisdizione nel momento in cui era venuto al mondo. I nativi sarebbero diventati cittadini americani solo con l’Indian Citizenship Act del 1924: una norma che non sarebbe stata necessaria, se il XIV emendamento avesse garantito indiscriminatamente la cittadinanza a chiunque fosse nato sul suolo statunitense. La stessa sentenza United States v. Wong Kim Ark del 1898 garantirebbe, secondo numerosi giuristi, la cittadinanza automatica esclusivamente ai figli degli immigrati regolari (non necessariamente in possesso di cittadinanza).

Da tutto questo si evince come – dal punto di vista tecnico –  non esista alcun diritto automatico alla cittadinanza per chiunque nasca sul suolo americano. In tal senso, Trump – in quanto presidente degli Stati Uniti – detiene l’autorità legale di ricorrere a un ordine esecutivo, per spingere le agenzie federali ad adottare l’interpretazione restrittiva del XIV emendamento.  


Stefano Graziosi è corrispondente di esteri per “La Verità”, autore del libro “Apocalypse Trump”.