La nascita del Conte-bis, con opposizione in Parlamento e proteste di piazza, merita alcune riflessioni, di metodo e di merito.

Certo, nei sistemi parlamentari, come il nostro, “i Governi si formano in Parlamento”. La fiducia è l’elemento che li connota. Il che, formalmente, consente mutamenti di compagini governative anche, e più volte, durante la legislatura. È, tuttavia, una “prima” assoluta, un “caso di scuola” di diritto costituzionale, ciò che è successo stavolta: due Governi, presieduti dallo stesso Premier e composti da maggioranze non solo diverse ma opposte tra loro, senza passare da elezioni e senza soluzione di continuità, nel solo giro di un mese.

La Costituzione (art. 88) contempla l’istituto dello scioglimento anticipato delle Camere. Bisogna capirsi. Da un lato, i 5 anni di durata della legislatura sono da intendere come un termine massimo di durata, perché il Paese legale – in ragione del fondamento della democrazia rappresentativa – deve quanto più riflettere il Paese reale. E tale termine è il massimo che si può attendere per verificarlo. Dall’altro, una cessazione anticipata rispetto a quel quinquennio è una valutazione di opportunità rimessa al Capo dello Stato. Tra le ipotesi che vengono in gioco vi è il venir meno della corrispondenza tra eletti ed elettori, ovvero il sopravvenuto difetto di rappresentatività dei rappresentati (Zangara, Mortati, Pizzorusso, Ruggeri): appunto, lo scollamento evidente fra Paese legale e Paese reale. Ad esempio il mutamento della situazione politica, confermato dalle elezioni regionali (Martines) o da referendum (Barile-Cheli-Grassi), può costituire valido motivo di scioglimento anticipato.

Le consultazioni elettorali dei mesi scorsi hanno registrato scostamenti significativi nel gradimento degli elettori, rispetto alle politiche 2018, con una Lega che alle europee ha addirittura raddoppiato i suoi consensi diventando il primo partito nazionale. Elezioni queste ultime che hanno assunto negli anni, anche simbolicamente, un significato “politico” che non può essere costituzionalmente trascurato. Per molto meno il Presidente Scalfaro nel 1994 sciolse anticipatamente il Parlamento (“divario molto sensibile tra le forze rappresentate in parlamento e la reiterata volontà popolare”, recitava la motivazione). Sarebbe distorsivo, e sbilanciato in danno del fondamento della rappresentatività, pensare che in caso di crisi della maggioranza il Presidente della Repubblica non abbia il dovere di verificare la congruenza tra una nuova maggioranza e la volontà raffigurabile nel corpo elettorale, prima ancora di saggiare se esista una maggioranza alternativa per un altro Governo. Come ci ha insegnato A.V. Dicey (1885): “Uno scioglimento è auspicabile e necessario, ogniqualvolta la volontà del legislativo è, o tale si può legittimamente presumere, differente dalla volontà della Nazione. Nessun costituzionalista moderno porrebbe in dubbio che l’autorità della Camera dei Comuni derivi dal suo essere rappresentativa della volontà della Nazione e che il principio obiettivo dello scioglimento sia l’accertamento della coincidenza tra volontà parlamentare e volontà della Nazione”. “La sovranità appartiene al popolo”, infatti, e tutto va improntato a rendere quanto più possibile attuale la corrispondenza tra i due Paesi. Il che è appunto una “forma della Costituzione”, chiamata scioglimento anticipato delle Camere.

LEGGI ANCHE
SCALEA | Caso Gervasoni: tempi cupi per i non allineati

Non ci si nasconde che oltremodo delicata sia tale decisione per il Capo dello Stato. Ma, per le ragioni dette, non mancavano elementi forti che avrebbero potuto suggerire un diverso esito della crisi. Sempreché si ritenga – come riteniamo – che a Lui spetti interpretare, sulla scia di C. Mortati, il “sentimento” del popolo, titolare esclusivo della sovranità. Trascuriamo per ora un’altra questione, che non è solo politica, ma segna tutta la storia del diritto. Ovvero che l’intuitus personae sta a base di ogni rapporto fiduciario, cioè della fides tra mandante e mandatario. Dunque anche della responsabilità politica di chi è eletto. Un convertirsi repentino in massa nel proprio opposto, pur di continuare a rimanere tra gli stessi scranni, urta irreparabilmente con la fiducia politica e la dialettica democratica, che presuppongono davanti al cittadino la distinzione non solo di ruoli, ma anche di persone, tra maggioranze e opposizioni. Ma questo è un altro tema: si chiama trasformismo. Che è patologia, non fisiologia, del sistema parlamentare. E sarà il caso di trattarne a parte, perché quello che vediamo oggi fa impallidire quello celebre ai lontani tempi di Agostino Depretis.


Ginevra Cerrina Feroni, professoressa ordinaria di Diritto costituzionale, è consigliera scientifica del Centro Studi Machiavelli.