Martedì Facebook Inc. ha deciso di cancellare dalle proprie piattaforme (l’omonima e Instagram) tutte le pagine e i profili personali riconducibili a due movimenti politici, CasaPound e Forza Nuova, accusati di «odio organizzato». Il problema, evidente, è legato alla contraddizione tra uno Stato, quello italiano, che riconosce quali legittimi tali movimenti politici (nessun tribunale li ha mai sciolti, partecipano regolarmente alle elezioni e, malgrado gli scarsi risultati, hanno alcuni rappresentanti eletti in organismi locali), e una corporation privata che li bandisce dalle proprie piattaforme. Un’azienda californiana ha sostituito sé stessa e i suoi regolamenti ai tribunali e alle leggi del popolo italiano.
L’obiezione che muovono gli apologeti della Facebook Inc. è che, trattandosi di azienda privata che ha un proprio regolamento di utilizzo delle piattaforme sottoscritto dagli utenti, possa fare ciò che vuole. Il che stona, tuttavia, con la differente realtà della nostra società, in cui la legge non permette affatto a chicchessia, solo perché privato, di discriminare liberamente tra gli utenti. Il titolare di un esercizio aperto al pubblico, come un bar o un negozio, non è certo libero di buttar fuori un cliente in base alla sua fede politica o al colore della pelle. I giornali sottostanno alle regole di un ordine professionale, oltre che a varie leggi ad hoc, mentre i telegiornali sono vigilati da un’autorità di garanzia. In Italia l’iniziativa privata è regolata eccome, nella sua interazione col pubblico, né si può pensare che un semplice contratto di servizio possa sanare ogni contraddizione: nessun ristorante potrebbe cacciare i clienti con tic facciali solo avendo fatto loro firmare un impegno a non strizzare gli occhi dentro il locale. Non si capisce perché, quando si parla di giganti del digitale, l’Italia diventerebbe un Paese ultra-liberista, quasi da stato di natura, in cui ognuno fa quel che vuole calpestando i diritti altrui.
La questione diviene ancora più delicata considerando che Facebook Inc. non è la proprietaria di una piccola gelateria tra milioni di altri esercizi analoghi, bensì di due social network che, in regime di quasi monopolio de facto, servono gran parte della popolazione italiana e controllano un settore delicatissimo qual è l’accesso alle informazioni e il loro scambio in rete. Se si è cacciati da Facebook non si hanno reali concorrenti cui rivolgersi per avere una voce nel web. Eppure Internet ha ormai superato e distanziato radio e giornali come fonte d’informazione quotidiana degli italiani, e non veleggia più così lontano neppure dalla televisione. All’incirca un italiano su tre utilizza Facebook come fonte d’informazione. Per molti di loro il social network è diventato il portale d’ingresso alla rete, da cui poi accedono al resto dei contenuti presenti in Internet. Qualcosa di troppo delicato e cruciale per la democrazia da lasciarlo al pieno arbitrio dei privati, senza nemmeno provare a regolamentarlo.
Non di meno, molti a sinistra continueranno a sostenere Facebook Inc. nella sua crociata ideologica, che non solo in Italia ma anche in altri Paesi ha portato all’espulsione d’utenti perché di destra, e non sempre radicale. Non solo il formalismo, ma anche la sostanza imporrebbe di lasciar perdere le predilezioni politiche dei singoli quando si valuta operati simili. Facebook Inc. è un’azienda il cui scopo sociale è guadagnare più dividendi possibili agli azionisti. Confidare nella sua azione etica è da stolti. Oggi può servire una causa ideologica e domani convertirsi ad una specularmente opposta, se i soldi, il management o l’azionariato la porteranno lì. Quando si permette ai bulli di imperversare, si può prevedere chi sarà la loro prossima vittima, ma mai indovinare quale sarà l’ultima. E le amare sorprese potrebbero essere dietro l’angolo anche per chi oggi ridacchia soddisfatto.
Daniele Scalea è Presidente del Centro Studi Machiavelli.
Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.
Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).
Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.
Bisognerebbe creare dei network in ambito nazionale o europeo. Così potremmo utilizzare strumenti con status di “servizio pubblico” (come i locali pubblici citati nell’articolo) ai quali poter applicare le garanzie legali a favore dei clienti.
Poco più di un anno fa nel nostro Codice penale è stato introdotto l’art. 604 bis intitolato: “Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa”. La norma penale è stata inserita dal D.Lgs. 01/03/2018, n. 21 anche sulla base di Direttive Comunitarie. Ma il fatto eclatante è che non può essere una società privata a stabilire se un reato sussiste perché questo accertamento spetta in via esclusiva al giudice penale. Perciò chi si vede chiudere l’account dalla società che gestisce il social per istigazione all’odio deve fare una cosa molto semplice: ricorso d’urgenza al giudice civile perché è stato leso il suo diritto alla libera espressione del pensiero, diritto tutelato dalla Costituzione.
In tal senso il Tribunale di Pordenone che, pronunciandosi nella causa civile n. 2139/2018 (provvedimento qui sotto allegato), ha accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso da un utente Facebook che si era visto disattivare e cancellare il profilo personale e, di conseguenza, era stato privato della possibilità di gestire la sua pagina presente sul social. Il giudice ha anche stabilito una penale da ritardo per ogni giorno di mancata riattivazione. https://www.studiocataldi.it/articoli/32919-facebook-non-puo-disattivare-un-account-senza-motivo.asp?fbclid=IwAR3vXtVAwWzNaPNd7-leF7YrfLneZCkwHbCvq3ktcFNS_7o6LihakCiUfdY