La mafia nigeriana in Italia. Elementi per una corretta valutazione è il ventesimo Dossier del Machiavelli, opera di Antonio De Bonis.
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SOMMARIO ESECUTIVO
- L’esistenza e il radicamento delle diverse organizzazioni criminali nigeriane di tipo mafioso sul territorio nazionale è un dato informativo consolidato perlomeno da un quindicennio.
- La comprensione dell’evoluzione delle diverse forme criminali operanti in Italia ed originate in Nigeria non può prescindere dalla conoscenza delle dinamiche politiche ed economiche di quel Paese.
- È possibile ed utile assimilare al tipo mafioso l’azione delle compagini criminali nigeriane operanti in Italia.
- L’efficacia criminogena della mafia nigeriana è potenziata dalla sottovalutata dimensione internazionale del fenomeno.
- Ad oggi, più che di concreta osmosi operativa si è autorizzati a parlare di estemporaneità relazionale delle compagini criminali nigeriane con le mafie autoctone.
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VERSIONE SOLO TESTO
[showhide type=”testo” more_text=”Mostra di più” less_text=”Mostra di meno”] Le mafie nigeriane operano illegalmente nelle maggiori città italiane, perlomeno da un ventennio, in forma organizzata ed altamente pericolosa per la convivenza ordinata e la sicurezza delle nostre comunità.
La consapevolezza della loro pericolosità sociale, la conoscenza del modus operandi e della relativa forma mentis criminale, rappresenta il passaggio fondamentale per la successiva elaborazione delle migliori strategie di contrasto finalizzate al contenimento di questa montante minaccia.
Al momento l’insieme di queste conoscenze è ancora insufficiente, non essendo maturata la realistica percezione del potenziale criminogeno di questa mafia anche in Italia, sebbene già nell’anno 2005 nella Relazione sulla politica dell’informazione al Parlamento l’Agenzia d’informazioni e sicurezza interna (AISI) avvertisse che:
… Il radicamento della criminalità nigeriana in territorio nazionale, specie nel Centro Nord e in Campania, rappresenta un dato consolidato nel patrimonio informativo …
Purtroppo, in ragione dell’evoluzione criminale delle diverse organizzazioni criminali nigeriane in Italia, si deve constatare che, come del resto per le altre mafie, autoctone e straniere, persino a fronte di una emersione del fenomeno, come messo in evidenza in questa relazione, gli apparati di sicurezza faticano a mettere a punto mirate ed efficaci strategie di contrasto a questo genere di fenomeni complessi di criminalità organizzata, quali sono quelli di tipo mafioso, essenzialmente per tre motivi:
il primo oggettivo, in quanto esse rispondono alla domanda generata dal mercato; le varie forme di contrabbando, droghe, prostituzione, armi e merci contraffatte sono in sostanza reati senza vittima in ragione della libera volontà di scelta esercitata dagli acquirenti finali;
il secondo finanziario, in considerazione degli enormi flussi di capitale generati dalle mafie per mezzo dell’insieme delle attività illecite a cui si dedicano e che sostengono una cospicua porzione dell’architettura economica mondiale;
il terzo strumentale, in quanto le mafie sono considerate da parte delle strutture di potere informale un valido asset a cui ricorrere per la gestione dei propri interessi illegali.
A queste considerazioni dobbiamo aggiungere, per quanto concerne le mafie nigeriane, il ricorso ad aspetti di natura esoterica in quanto strumenti di coesione e controllo, interni ed esterni alle organizzazioni, che in una certa misura si sommano al classico collante identitario rappresentato dal codice d’onore criminale.
LE ORGANIZZAZIONI CRIMINALI STRANIERE E L’ULTIMA GLOBALIZZAZIONE
Il Parlamento italiano, con la legge n. 1251 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, ha esteso la portata della fattispecie incriminatrice dell’associazione di tipo mafioso includendo all’ottavo comma il riferimento alle associazioni comunque localmente denominate, “anche straniere”.
La criminalità organizzata mondiale, intesa come fenomeno, negli ultimi trent’anni ha registrato un’espansione enorme ed un indiscutibile successo con profitti enormi dei quali è ovviamente persino velleitario, sebbene qualcuno vi si cimenti, tentare una stima.
L’ultima globalizzazione ha consolidato un’economia mondiale a trazione capitalistica e liberalizzata grazie alle pratiche di deregulation dei mercati economici e finanziari nonché, quale negativo portato collaterale, lo sviluppo pletorico di forme sempre più articolate e resilienti di criminalità organizzata a carattere transnazionale.
Siamo avvezzi a ragionare di criminalità nella forma organizzata in quanto problema locale di ordine pubblico; ma lo sviluppo di sistemi economici, sempre più interdipendenti grazie all’evoluzione tecnologica dei mezzi di trasporto e dei sistemi di comunicazione, ha alterato radicalmente la natura stessa della criminalità finendo per assegnarle anche un ruolo geopolitico in ragione della convergenza d’interessi con varie istanze di potere finché di natura insorgente in giro per il pianeta.
È del tutto evidente che la criminalità organizzata, le mafie come le diverse forme d’insorgenza contemporanea, altro non sono che attori economici e che quindi devono agire sottostando alle prassi e alle norme dei circuiti internazionali economici e finanziari.
Le dinamiche degli scambi mondiali hanno da sempre favorito, ma mai come in quest’ultimo torno di tempo, le attività criminali partendo dal livello locale per riflettersi con risultati impressionanti a livello internazionale tanto da richiedere, sin dall’anno 1994, l’intervento dell’O.N.U. con l’apertura alla firma dei Paesi membri della Convenzione sulla criminalità transnazionale.
La globalizzazione intesa quale processo d’integrazione dei mercati è favorita dalla condivisione di accordi internazionali di partenariato e, sotto il profilo pratico, dalla trasportabilità delle merci che consente di superare i limiti imposti dallo spazio quale sintesi dell’insieme delle costrizioni e limiti fisici, temporali, amministrativi.
Ciò premesso possiamo riassumere schematicamente i principali fattori che hanno favorito l’evoluzione ultima dei fenomeni criminali a carattere transnazionale:
liberalizzazione estrema dei mercati;
globalizzazione dei flussi commerciali;
accesso alle dinamiche finanziarie illegali;
balcanizzazione di quadranti geografici nodali;
effetto diversione provocato dalla lotta al terrorismo;
conseguenze delle varie crisi finanziarie.
LA NIGERIA E LE ORGANIZZAZIONI CULTISTE
La Nigeria è un Paese ricco, un colosso dai piedi d’argilla, aduso al commercio sia marittimo, grazie al sud che affaccia sull’Oceano Atlantico, sia terrestre, grazie alla direttrice nord che interseca le rotte commerciali via terra dirette tanto verso il Corno d’Africa quanto verso il Magreb dopo aver attraversato la fascia saeliana, e ricco di materie prime, soprattutto di petrolio; ma paradossalmente è anche uno dei Paesi più poveri al mondo per reddito pro-capite, nonché uno dei più corrotti secondo quanto riportato dal sito dell’organizzazione internazionale Transparecy International.
Questa situazione è determinata in ragione ed a causa dei seguenti fattori di crisi:
la forte divisione tra un nord povero e di fede prevalentemente islamica ed un sud ricco e di fede cristiana;
le enormi differenze tra le aree urbane e quelle rurali;
le secolari controversie armate tra allevatori e coltivatori a rendere più che esplosiva la situazione generale come rilevabile dalle migliaia di morti ammazzati che si registrano annualmente;
le mutazioni climatiche, siccità e desertificazione;
il passaggio ad una democrazia compiuta tutt’altro che scevro da crisi politiche ormai sistemiche;
la gestione clientelare delle enormi risorse naturali del Paese
Ulteriori fattori di criticità emergono in uno studio dell’International Crisis Group di Bruxelles sull’aumento esponenziale degli episodi di conflitto interno alla Nigeria ponendo in risalto:
gli squilibri demografici connessi all’aumento della popolazione a cui non segue un relativo aumento dei pascoli;
la velocità di cambiamento tecnologico nelle pratiche zootecniche ed agricole; la criminalità organizzata urbana e quella rurale dedita al furto di bestiame, che per altro rappresenta ancora una delle fonti di finanziamento per gli insorgenti e terroristi di Boko Haram;
i conflitti politici ed etnici;
i cambiamenti culturali connessi al venir meno delle strutture e della prassi consolidata per la gestione dei conflitti inter e intra etnici.
Si comprende agevolmente come l’intera struttura sociale della Nigeria sia esposta a forze disgregatici che rendono disfunzionale l’azione del potere centrale esposto ad una serie devastante di problemi sociali. In un simile contesto la criminalità si organizza e si inserisce nella mediazione sociale assumendo il ruolo organizzativo che sarebbe proprio dello Stato centrale. Ora, ad esacerbare ulteriormente questa tragica situazione va evidenziato che nel novero delle migliaia di morti ammazzati, secondo le stime ufficiali comunque in difetto, decine sarebbero imputabili a sacrifici umani.
La stregoneria, primevo potere esorcizzante i pericoli della vita quotidiana, è radicata nella cultura e nel sentimento di sé di qualsiasi nigeriano; mentre il cultismo, forma associativa primaria, che da questa debolezza ha tratto la propria linfa vitale ed il connesso successo, raggiunge il proprio acme negli anni Sessanta in ambiente elitario universitario, rivendicando il potere per l’entità nera, innestandosi magistralmente nell’alveo culturale libertario internazionale a matrice occidentale e finendo per essere sfruttato molto più prosaicamente quale forza cinetica a fini di potere e lucro.
Infatti, le confraternite cultiste ben presto diventeranno vere e proprie organizzazioni criminali di tipo mafioso esercitando un forte potere di assoggettamento, derivante dalla intrinseca forza che genera dal vincolo associativo, sui propri membri e sulle popolazioni dei territori in cui operano, soprattutto del sud della Nigeria, più ricco e socialmente evoluto rispetto al resto del Paese.
Si realizzava per questa via, nei decenni più recenti, la sincretica amalgama di credenze ancestrali animistiche e di pratiche religiose spurie che, pur mantenendo una veste canonica, conservavano un che di atavico al quale i nigeriani non avevano alcuna intenzione di rinunciare, tanto forte e connaturata era l’impronta soprannaturale di alcune pratiche. E che, ovviamente, legavano la popolazione alla propria profonda identità alla quale nessun popolo rinuncia a meno di non subire processi di ingegneria sociale che comunque alla fine lasciano sempre strascichi profondi quanto le ferite che generano.
Per comprendere la nascita del cultismo criminale in Nigeria dobbiamo considerare altri due ulteriori fattori:
1. il cambiamento negli Ottanta delle rotte del commercio della cocaina verso l’Europa e l’Asia;
2. la crescita demografica esponenziale di una popolazione già oggi intorno ai 300 milioni di persone.
Ricapitolando quanto sin qui detto, la Nigeria è un Paese che, con tali presupposti, non poteva non sviluppare una forma di criminalità organizzata a vocazione internazionale come poi in effetti è accaduto.
In sostanza le mafie nigeriane nascono quali lobby di potere a base locale che agivano in quello spazio politico-affaristico aggregante interessi regionali o sub regionali dove si confrontavano e coalizzavano gruppi di pressione di civili e militari. Questa dinamica ha determinato lo sviluppo di forme organizzative fluide e trasversali che oggi sono alla base dei sistemi di potere sociale, politico ed economico nel Paese, riverberando le proprie istanze, attraverso le diversificate forme criminali, sulla diaspora nigeriana.
È in questa dinamica relazione, tra poteri diversificati con istanze locali, centrali ed internazionali, che si sviluppa il paradosso della criminalità nigeriana aperta alle forme più avanzate di tecnologia e chiusa in riti ancestrali.
Come sappiamo le mafie si sviluppano per queste cause:
1. disagio sociale causato da squilibri economici;
2. fattori contingenti di natura storica;
3. corruzione;
4. mancanza di Stato.
La Nigeria contemporanea, con i presupposti che abbiamo velocemente indicato, non poteva non generare una specifica forma di mafiosità criminale.
Lo sviluppo delle moderne forme di criminalità organizzata nel continente africano può essere diviso ed analizzato sostanzialmente in tre fasi differenti:
1. la prima, quale conseguenza della decolonizzazione allorché si liberano energie che favorirono l’insorgere di forme organizzate di criminalità anche al di là delle aree già consolidate del Sudafrica e del sud-est della Nigeria;
2. la seconda, in concomitanza del disgregarsi della contrapposizione in blocchi propria della Guerra fredda;
3. la terza, avviatasi sull’onda dei processi economici globalizzati, della diffusione della rete internet, delle nuove tecnologie informatiche e di comunicazione, che hanno avuto quale esito nel continente quello di fondere in un’area grigia lo svilupparsi di attività lecite ed illecite.
Il paradosso africano è che tanto più avanza la democrazia nel continente tanto più gli Stati sono soggetti al potere del denaro generato dalla criminalità organizzata in un contesto generale di sviluppo economico.
CULTISMO E MAFIE NIGERIANE
L’origine del cultismo nigeriano, quale manifestazione criminale moderna, solo in parte emerso grazie al sincretismo dei rituali ancestrali propri dell’etnografia africana, sviluppa il suo embrione in ambiente universitario e precisamente nel mondo dei campus universitari.
Nel caso delle confraternite dei campus nigeriani l’allontanamento dalla primigenia forma di giustizia si risolve nella nascita di una pletora di filiazioni che vengono definite genericamente secret cults che, con il passare del tempo, e con l’evoluzione della società, prenderanno sempre di più le distanze dai padri. Nascono così i Black Eye, i Vikings, i Buccaners, i Maphite, i Dragons, i Black Beret, i Black Axe, o anche, ed esclusivamente femminili, la confraternita del Temple of Eden, la Frigrates, la Barracudas e quella delle Daughters of Jezabel.
A differenza delle nobili ambizioni fondative proprie degli anni Cinquanta, le filiazioni della primigenia confraternita dei Pirati hanno ricercato esclusivamente l’arricchimento economico ponendosi a disposizione delle lobby impegnate nella conquista del potere. Le organizzazioni cultiste, grazie a questo perverso e criminale rapporto, finivano per assumerne il carattere proprio delle associazioni di tipo mafioso.
Quando il potere nelle sue forme, economica, politica, finanziaria e bancaria, chiede alla criminalità aiuto per raggiungere i propri scopi, è allora, e solamente allora, che nascono le mafie destinate altrimenti ad essere mere manifestazioni di criminalità, anche organizzata, ma prive di tutela di livello e quindi scarsamente resilienti.
Questo è avvenuto in Nigeria allorché il potere politico ed economico-finanziario ha concesso il proprio patronaggio alle varie organizzazioni cultiste, al fine di sfruttarne la capacità di esercizio della violenza per strategie politiche e di accumulo di capitale.
Le mafie nigeriane seguono pedissequamente le caratteristiche criminologiche proprie dello sviluppo di qualsiasi forma di criminalità organizzata di tipo mafioso in quanto rispondono alle medesime esigenze dettate da forme di potere a cui offrono i propri servizi illegali, e che quindi non rientrano nel novero di quelle attività che il patto sociale accetta come lecite.
In ultima analisi la società nigeriana è caratterizzata, ancora oggi, dalla forte presenza di strutture di potere che possiamo definire lobby criminali che hanno generato forme di patronaggio e clientelismo. La competizione politica è degenerata poiché è ricorsa ai servizi delle confraternite che ne hanno approfittato per dedicarsi, grazie alle acquisite tutele politiche, a varie attività criminali. Le confraternite cultiste hanno subito la trasformazione in associazioni criminali di tipo mafioso in quanto sempre più legate e in combutta con la politica, la finanza e i cosiddetti facilitatori o colletti bianchi.
Le organizzazioni criminali nigeriane in Italia: un tipo di mafia o una mafia tipica
È da porre subito in evidenza che gli storici legami oltre oceano delle mafie nostrane con le strutture criminali operanti negli States, ma anche con il Canada ed il Sud America, evocano chiaramente un ulteriore parallelismo con la diaspora delle mafie nigeriane (anche in Italia), le quali, dopo essersi affermate in patria, hanno potuto espandere i propri affari all’estero sull’onda delle evolute condizioni internazionali che hanno favorito l’apertura del continente africano verso il mondo occidentale.
Il ritorno alla democrazia, abbastanza recente in Nigeria, nell’anno 1999, non è stato privo di conseguenze e l’alto numero di omicidi mirati evidenzia chiaramente come il processo democratico non sia stato affatto recepito nella sua dinamica fisiologica di alternanza connessa al rispetto delle decisioni dell’elettorato.
In Nigeria, nel recente periodo compreso tra l’anno 2000 e l’anno 2007 si contano all’incirca 1.650 omicidi di politici, servitori dello Stato, giornalisti ed appartenenti ai vari culti fideistici.
Al contrario, anche in questo caso, la transizione alla democrazia sembra aver ulteriormente esacerbato un ambiente già competitivo fino alle estreme conseguenze, riprendendo una valutazione di Nicholas Barnes6. Sembra potersi assumere che la forte competizione per assicurarsi l’esito delle votazioni abbia spinto alcuni centri di potere verso forme deviate di competizione fino al punto di commissionare omicidi mirati di avversari politici.
Il caso che maggiormente ci interessa in ragione degli attori coinvolti riguarda la guerra tra gang cultiste scoppiata nel 2010 in concomitanza di una tornata elettorale nello Stato di Edo e che ha visti coinvolti e contrapposte la confraternita dei Maphite e quella dei Black Axe. Ossia le stesse organizzazioni cultiste che si contrappongono cruentemente in Italia, dal nord al sud del Paese conquistando a colpi di machete aree di competenza esclusiva, e di cui ormai le cronache e l’esperienza di polizia e giudiziaria hanno dato contezza. Come riportato dalla stampa nigeriana, la guerra originò da una serie di omicidi mirati appaltati da alcuni politici, in relazione alle elezioni politiche di quell’anno, alle due confraternite, che hanno finito per entrare in competizione generando una vera e propria guerra tra bande.
Ora bisogna considerare con la dovuta attenzione che la mancanza di conoscenza di queste dinamiche limita grandemente anche l’opera di contrasto a queste forme di criminalità organizzata tipicamente mafiose che operano in Italia. Nel caso particolare, non avere cognizione di questa dinamica di contrapposizione tra la confraternita dei Maphite e quella dei Black Axe, come abbiamo visto tutta interna alla storia nigeriana, inficia fortemente l’analisi complessiva del fenomeno mafia nigeriana in Italia quand’anche si raggiungano apprezzabili risultati investigativi contingenti.
Il problema vero delle diverse mafie, come la nostra peculiare storia ci ha insegnato, prescinde dal successo a brevissimo o breve termine nel contrasto, ma si radica nella incapacità di pervenire ad una soluzione definita della questione criminalità organizzata di tipo mafioso.
Questa incapacità è connessa con la necessità di molteplici attori, politici, economici e burocratici, di mantenere una qualche forma di relazione con i fenomeni di criminalità organizzata gestendo continuamente un precario equilibrio di rapporti.
Nel maggio del 2006, le forze dell’ordine hanno arrestato, su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Torino, ventiquattro cittadini nigeriani appartenenti ad un’organizzazione criminale etnica denominata EIYE a conclusione dell’indagine denominata NIGER. Le accuse erano quelle tipiche delle organizzazioni criminali mafiose di rango: associazione mafiosa, tentato omicidio, rapina, estorsione, traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
L’attività d’indagine accertava che l’organizzazione degli EIYE agiva in quanto propaggine dell’organizzazione madre con sede in Nigeria, il cui responsabile per l’Italia era residente a Torino e coordinava tutte le cellule operative degli EIYE presenti sul territorio nazionale mantenendo stretti legami e contatti con i vertici dell’organizzazione in Nigeria.
L’organizzazione criminale degli EIYE si presentava agli inquirenti come strutturata verticistica e dedita alla commissione di numerosi delitti contro il patrimonio e contro la persona, opponendosi, di fatto con la violenza come accertato, ai gruppi rivali di connazionali al fine di mantenere il predominio nell’ambito della comunità nigeriana in Italia.
Per tale fine gli associati si avvalevano della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà tipica delle consorterie mafiose tradizionali. Dopo quattro anni, nel maggio 2010, è arrivata la sentenza del Tribunale di Torino pronunziata nei confronti dei componenti il sodalizio indagato che ne sanciva l’appartenenza ad un’associazione criminale di tipo mafioso ai sensi dell’art. 416/bis del nostro codice penale.
Infatti, l’imputazione proposta dall’accusa di costituzione dell’associazione mafiosa da parte del sodalizio nigeriano ne denunciava la forza d’intimidazione derivante dal vincolo associativo finalizzata «ad assumere e mantenere il predominio della comunità nigeriana».
Un altro spaccato illuminante circa la pericolosità e l’antagonismo tra le citate confraternite degli EIYE e dei BLACK AXE operanti in Italia è stato illustrato da un altro testimone entrato nel processo torinese, il quale racconta: «Da oltre 15 anni, in Nigeria, è in atto una sanguinosa lotta tra clan tribali. In particolare esistono due gruppi fondamentali che sono tra loro in lotta. Si tratta di due distinte organizzazioni denominate EIYE, aquile, e BLACK OUT, buio» [in realtà si riferisce alla confraternita dei BLACK AXE].
La lotta tra i due gruppi è una lotta che non ha le connotazioni tipiche di quelle che si sentono dai telegiornali, per esempio le faide della criminalità mafiosa italiana: è qualcosa di analogo ma più primitivo. Mi spiego meglio. In Nigeria chiunque ha bisogno di protezione deve far parte di un gruppo o di un altro. Chi è solo e non fa parte di uno dei due gruppi è destinato a soccombere. In termini pratici si tratta di lotta per la sopravvivenza. L’affermazione di un gruppo su un altro è determinata dal numero dei componenti e dalla forza sanguinaria delle azioni di violenza che compiono. Chi non prende parte ad uno od all’altro gruppo viene ucciso selvaggiamente. È prassi, consuetudine e normalità l’omicidio efferato con armi bianche, da punta e taglio comprese le mutilazioni.
Ovviamente il gruppo che prevale sull’altro, a seconda della città o del villaggio in cui si trova, si aggiudica il controllo delle persone in ogni branca delle attività umane. In buona sostanza è la fattispecie della imposizione con la forza e la violenza di un clan sull’altro, di un gruppo di persone su un altro analogo gruppo.
Non esistono vie d’uscita e, se qualcuno cerca di stare fuori da questa disputa, prima o poi è trovato e deve fare la sua scelta. È ovvio che schierandosi da una parte o dall’altra si ottiene la protezione del gruppo, però è anche vero che si deve partecipare alle azioni del gruppo, in particolare quando è deciso di sopprimere gli antagonisti o chi si rifiuta di affiliarsi.
In particolare questa lotta tribale è divenuta incontrollabile e sempre più cruenta negli ultimi tempi, tanto che la polizia in Nigeria è costretta, per reprimere tali lotte, ad utilizzare metodi analoghi.
Non sono a conoscenza se tra le attività che sono svolte dall’uno o dall’altro gruppo siano comprese anche le attività di controllo della prostituzione, della droga o dell’immigrazione.
In Italia il fenomeno di cui sto parlando è molto diffuso nella comunità nigeriana. In particolare i due clan sono presenti e numericamente molto forti nelle città di TORINO, NAPOLI e VERONA. Soprattutto a Torino il clan degli EYE – per quanto ne so – conta almeno 100 individui ed altrettanti ne conta il clan dei BLACK OUT. Analogamente avviene a Verona e Napoli.
E arriviamo ai giorni nostri per approdare nientemeno che in Sicilia, anzi, meglio, a Palermo, e se non dovesse bastare persino nello storico quartiere di Ballarò sotto l’influenza della famiglia mafiosa di Palermo Centro inserita nel mandamento di Porta Nuova; vale a dire la storia e il gotha della mafia palermitana, la nobiltà mafiosa siciliana per antonomasia.
Ebbene, nell’anno 2016, la Polizia di Stato nell’ambito dell’indagine BLACK AXE arresta una ventina di cittadini nigeriani in quanto membri di un’organizzazione criminale di tipo mafioso appartenente alla confraternita omonima.
L’indagine si è avvalsa delle dichiarazioni rese da Austine Jhonbull, noto come Ewosa, che ad un certo punto, nel 2014, inizia a raccontare agli inquirenti come funzionano le cose a Ballarò e più in generale cos’è la mafia nigeriana vista e vissuta da un interno ad essa.
Il Buscetta nero riferiva della ramificazione a livello internazionale di cellule della confraternita Black Axe con base in Nigeria, definite a livello nazionale zone, mentre i distretti cittadini sono denominati forum; quindi, per quanto concerne l’Italia, è chiaro che sono attivi tanti forum quante sono le città ove si registra la presenza di compagini criminali nigeriane che agiscono con il riconoscimento in Nigeria dei capi della confraternita della Black Axe.
Già dal 2005 la polizia del capoluogo siciliano aveva rivolto l’attenzione ad un traffico di sostanze stupefacenti, eroina e cocaina in particolare, che girava intorno a nigeriani e italiani.
L’indagine che prendeva corpo, denominata Golden Eggs, uova d’oro, consentiva di accertare l’operatività nella città di Palermo, e in particolare nei quartieri dello Zen, Borgo Vecchio, Centro storico, Brancaccio e Monte Pellegrino, di un’organizzazione criminale finalizzata all’importazione, gestita da nigeriani e italiani, di eroina e cocaina e di altre organizzazioni collegate deputate allo smercio all’ingrosso e di piazza.
Una perfetta sinergia tra criminali nigeriani e nostrani che certo non poteva passare inosservata, circa dieci anni prima dei fatti sopra narrati, ai membri di Cosa nostra palermitana. Ma tant’è, il traffico e lo smercio al dettaglio delle diverse droghe a Palermo era gestito anche da queste compagini criminali senza che questa attività abbia generato alcuna guerra per il controllo del business.
Conclusione
Sono emerse con tutta evidenza le similitudini che accomunano le mafie italiane a quella nigeriana in relazione al rispettivo sviluppo evolutivo e storico, nonché alle cause che ne hanno favorito e determinato il successo e la conseguente capacità resiliente decisiva per sopravvivere e rafforzarsi nel tempo.
Come le nostre, ma come del resto anche per le principali mafie mondiali, quella nigeriana rappresenta l’esito di processi economici, e quindi politici e sociali, che ne hanno modellato le strutture. Questi processi sono sempre innescati, gestiti e controllati, da conglomerati di potere che condividono estemporaneamente, mai esclusivamente e definitivamente, interessi talvolta convergenti.
La mafia nigeriana è già un problema di natura sociale in diversi Paesi europei, e non solo; le dinamiche internazionali e geopolitiche sembrano evidenziare l’acuirsi di quei fattori che ne hanno determinato lo sviluppo e la proliferazione ben oltre i confini della Nigeria.
Prendere atto di questa situazione è un doveroso e improcrastinabile atto di natura sociale sotto il profilo della sicurezza ma anche economico e ovviamente umanitario.[/showhide]
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Presidente di GeoCrime Academy.
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