A partire dall’ottobre 2018 il Canada ha liberalizzato la produzione e la commercializzazione della cannabis a fini ricreativi. Pur non essendo il primo Stato ad operare la scelta antiproibizionista (Uruguay ed alcuni Stati degli USA lo avevano già fatto), risulta un caso di estremo interesse per una breve riflessione circa tale scelta.
L’argomentazione di maggior rilievo tradizionalmente portata a sostegno della liberalizzazione della cannabis è costituita dalla affermazione secondo la quale in tal modo si eliminerebbe il mercato illegale, drenando quindi i guadagni della criminalità. Una prima verifica relativa all’esperienza canadese non sembra confermare tale tesi.
I dati forniti dal governo canadese registrano, dal quarto trimestre 2018 al secondo trimestre 2019, il divaricarsi del prezzo della cannabis per uso non medico; in dettaglio ponendo 100 il prezzo nel 2012, la cannabis legale passa da 99,4, al momento della liberalizzazione, a 103,3 nel secondo trimestre del 2019 che si confrontano con i 74,9 della cannabis illegale. La liberalizzazione ha quindi visto il “prodotto” legale esporre un prezzo più elevato che, nel tempo, ha ulteriormente allargato il distacco rispetto a quello illegale.
L’andamento dei prezzi contribuisce a motivare la ripartizione dei consumatori che, secondo il report governativo del giugno 2019, per il 48,3% acquistano cannabis legale ma per ben il 41,9% ricorrono a fonti illegali. I dati vanno valutati con prudenza ma la percentuale relativa alla cannabis illegale appare comunque assai significativa ed in grado di confutare il fondamento della tesi antiproibizionista.
Non si tratta peraltro di un esito isolato dato che il report 2019 dello United Nations Office on Drugs and Crime evidenzia che soprattutto in Colorado e nello stato di Washington, ove la cannabis è stata legalizzata da anni, il mercato illegale continua a sussistere. Lo stesso report, con riferimento alla California, attribuisce tale situazione ai prezzi più elevati della cannabis legale rispetto ai quella illegale.
La sia pur breve esperienza canadese conferma quindi l’impossibilità, sostenuta dagli anti-proibizionisti, di conseguire contestualmente l’eliminazione del mercato illegale, un livello di prezzi interessante per i produttori ed un congruo gettito fiscale.
Luca Ruggeri è un dirigente nel settore finanziario.
Ricercatore senior del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Economia, ha lavorato per oltre venti anni presso una grande banca italiana ed attualmente svolge la propria attività quale direttore generale presso un investitore istituzionale.
Mi sfugge il pensiero portante della sua opinione.
Se, come dice lei con i dati alla mano, il 48.3% dei consumatori in Canada acquistano cannabis sul mercato legale, e tenendo in conto un aumento del consumo a seguito della legalizzazione, questo indicherebbe una porzione significativa di introiti sottratta al mercato illegale. Chiaramente la legalizzazione, completa o parziale, non è da sola sufficiente ad eliminare il mercato illegale, ma dà un contributo importante alla sua riduzione.
Per quanto riguarda i prezzi, come per ogni bene di consumo questi sono determinati in parte dalla domanda e dalla reperibilità del prodotto. Il Canada continua a rilasciare licenze per la coltivazione, con tempi di attesa di oltre un anno, con conseguente aumento della capacità produttiva (destinata sia al mercato nazionale che a quello internazionale). In stati e paesi dove la coltivazione ed il consumo sono stati legalizzati da tempo, i prezzi all’ingrosso e al dettaglio sono diminuiti nel tempo.