Storicamente, fino a qualche decennio fa, i regimi comunisti di tutto il mondo vedevano nella borghesia, cioè nella classe media, il nemico giurato da annientare, il cosiddetto “nemico di classe” per definizione. La borghesia quale sentina di tutti i mali, almeno secondo la diagnosi dei più autorevoli intellettuali europei degli anni Settanta, la maggior parte dei quali ancora oggi occupa posti di rilievo nei giornali e nei media.
Negli ultimi anni numerosi sociologi, storici ed economisti hanno decretato la morte della borghesia, sia piccola sia media, quale causa delle ricorrenti crisi economiche che attanagliano le società occidentali. Si lamentano da più parti la crisi e la scomparsa della classe media, imputando a questo fattore l’impoverimento progressivo delle società europee. Tali recriminazioni ricordano le lagnanze dei dirigenti comunisti sovietici, quando, dopo aver annientato fisicamente i kulaki, assistevano impotenti al crollo dell’economia contadina e di quella cittadina.
I rimorsi, oltre a essere tardivi, sono anche inutili. Da quando, a inizio anni Novanta, la globalizzazione economica e culturale seguita al crollo del sistema bipolare è dilagata nel mondo, salutata con entusiasmo come l’inizio di una nuova era di benessere e felicità (le similitudini con il paradiso comunista si sprecano), la classe media occidentale è stata spazzata via dalla scena politica ed economica, con i risultati che sappiamo. La finanziarizzazione del mercato, cioè l’esito scontato della globalizzazione, ha di fatto demolito proprio quella fascia sociale che garantiva un equilibrio essenziale tra le classi povere e quelle ricche. Centro propulsore non solo economico ma anche culturale (pensiamo all’importanza dei valori “borghesi” quali l’etica del lavoro, il merito, la dedizione, lo studio come ascensore sociale), la scomparsa della borghesia, risucchiata nel vortice della proletarizzazione, ha determinato la situazione attuale.
La risposta, prima populista, ora sovranista, non è altro che l’ultima, disperata protesta di un mondo che ha visto quei valori capovolgersi nel loro esatto contrario. L’ascensore sociale si è inceppato, le élites diventano ingovernabili in quanto non più frenate da alcuna limitazione alla loro espansione oziosa e parassitaria, e la sempre più vasta platea proletaria si gonfia a dismisura, provocando erosione sociale, rancore di classe e involuzione culturale. Chiaramente, le élites imputano questi fenomeni al sorgere dei vari sovranismi, scambiando l’effetto per la causa. D’altra parte non si può chiedere loro una seria autocritica, di alcun genere.
Quando uno Stato o un insieme di Stati, tramite i loro governi, distruggono la classe media, un Paese muore di inedia, culturale ed economica. L’esempio drammatico del Terzo Mondo è lampante: un esile strato sociale, corrotto, avido e ozioso, posto al vertice, e un oceano di miserabili disperati schiacciati nei bassifondi.
Ora che la protesta minaccia l’incolumità economica delle élites, ecco spuntare saggi, studi, libri e convegni che intendono salvare il malato chiamato “borghesia”. Lacrime di coccodrillo miste a stupidità con il solo intento di garantire ai pentiti della globalizzazione il mantenimento, ancora per un po’ di tempo, dei loro privilegi, rassicurandoli sulla tenuta del sistema, un sistema ormai impazzito e destinato al collasso.
Abyssus (pseudonimo) è un professionista che opera nel settore culturale ed editoriale italiano
All’analisi, condita di pessimismo della ragione se dovessi abbozzare un giudizio affettato, aggiungerei i temi 1. del mutamento strutturale della divisione internazionale del lavoro, cominciato sulla fine dei ’70 del secolo scorso con il c.d. post-fordismo e accelleratosi con la c.d. rivoluzione industriale, tutt’ora in corso, impressa dalle tecnologie della comunicazione e dell’informazione (di cui l’AI, comprensiva dello dimensione dello spazio, è la “nuova” frontiera e in cui Italia – sovranista o non sovranista – tarda a battere un colpo mentre Francia e Germania, per restare sul continente europeo…) e 2. restringendo la lente alla sola Penisola e alla Res Publica, l’incapacità di tutti noi (rappresentanti e rappresentati, se paganti le troppe tasse, rispettanti le troppe leggi e recantisi ai seggi …) di restaurare a. un welfare che non risponde più e a dinamiche demografiche e a mutati rapporti di forze sul piano internazionale e b. di restaurare i “veri” meccanismi decisionali della (monca) costruzione europea, partendo ovviamente da precise definizioni del mix di interessi nazionali (sempre che si sia capaci di farlo e di volerlo).
Cioé: il collasso è già tra di noi, si tratterebbe solo di dircelo, riconoscerlo per … fare.
Le terapie?
Discutibili, da discutere …
Pax Vobiscum
Il problema è che i giovani sostengono questa cosa. Molti miei coetanei gioiscono al fallimento delle industrie. Un giorno però toccherà anche a loro. Che diranno?