Oggi in Europa l’epicentro della crisi è la Germania, la nazione che finora è stata il perno dell’Unione. La crisi tedesca è in primo luogo economica, ma quando si sfalda il punto di forza che finora ha consentito a Berlino di guidare il continente i riflessi politici sono immediati: la crisi è quindi duplice e investe l’intera strategia-Paese.

La crisi dell’economia divide in due fazioni, che perseguono indirizzi strategici alternativi, il mondo del business. Da un lato il settore industriale, che registra indici (fatturato, export, ordinativi, livello di fiducia) in drastico calo ed è per questo favorevole a investimenti pubblici e alla politica anti-deflazione della Bce che inietta dosi cospicue di liquidità nel sistema europeo – anche se tutto ciò, in quanto contrario all’ideologia economica ufficiale, emerge per allusioni più che attraverso dichiarazioni esplicite. Dall’altro lato le banche, in grave crisi per i tassi negativi che tolgono ogni attrattiva al settore delle obbligazioni e mandano in crisi l’attività tipica (depositi, prestiti), alzano sempre più la voce contro il “lassismo” finanziario.

Il complicato piano green, varato dal Governo Merkel per accontentare un po’ tutti, alla fine rischia di rivelarsi irrilevante. Avrà scarsi effetti economici (l’ipocrisia green ha minimi effetti di rilancio economico) e soprattutto non sembra in grado di tenere assieme le anime che ormai dividono il centro democristiano sempre meno capace di esercitare l’antica egemonia: da un lato l’idea di accentuare l’orientamento dirigista e solidarista, costante nei cancellierati Merkel, mettendo in piedi un’alleanza stabile con i Verdi; dall’altro una visione antitetica propensa a unificare le varie formazioni che si moltiplicano a destra: liberali, Freie Wahler (che come mostrano i risultati delle europee si stanno radicando in quasi tutto il territorio nazionale) e la stessa Afd (se stempera alcuni pulsioni inaccettabili nella storia tedesca).

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La scomposizione della compatta solidità tedesca fa emergere due cruciali elementi strategici. Il primo è il ruolo di pivot europeo lasciato alla Francia, anche se le forze di Macron sono spesso carenti. Il secondo è la certificazione della (ingloriosa) fine cui va incontro la linea mercantilista dei grandi avanzi commerciali basata sull’accondiscendenza americana ad accettare ingenti deficit (fornendo comunque sicurezza a basso costo) e sulla sponda cinese che pratica la stessa politica dell’export a ogni costo ma inquadrata in una visione di predominio mondiale (inaccettabile per il mondo anglosassone).


Antonio Pilati è stato componente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e consigliere d’amministrazione Rai ed è autore di numerosi saggi sui media e sulle relazioni internazionali.