Da più parti, analisti e commentatori politici vicini al mondo identitario hanno spesso richiamato la necessità di “riempire di contenuti” il sovranismo perché questo non rimanga un fuoco di paglia destinato a breve vita. E in effetti qui si gioca la partita decisiva non solo per le sorti dei partiti politici che sostengono o che avversano il sovranismo, ma soprattutto per le sorti delle prossime generazioni di italiani.
Non si tratta di ricalcare il passato, delineando confini ideologici e decretando dogmi (economici, culturali o di altro tipo) che vadano a imbrigliare e a ingessare questa nuova stagione politica, bensì di rompere l’egemonia, gramsciana, di una certa cultura progressista che, nelle scuole medie o superiori e nelle università, ha instaurato un dominio pressoché assoluto. Questo dominio in sostanza poggia sull’idea che la civiltà occidentale rappresenti il ricettacolo di ogni male, e che storicamente essa debba venire abbandonata senza troppi rimpianti a favore di un mondialismo ecumenico e irenico dalle venature post cristiano-marxiste.
Il 1994 dovrebbe rappresentare una vera cartina di tornasole per i sovranisti italiani. Infranto il dominio progressista, almeno a livello partitico, l’onda “liberale” non seppe mettere radici nelle accademie, nelle università, nell’editoria, nella scuola, commettendo lo stesso identico errore della DC nei decenni passati, irresponsabilmente felice di abbandonare la formazione culturale degli italiani nelle braccia ideologiche dei comunisti.
Il pericolo più grande quindi che il sovranismo corre è quello di illudersi che una maggioranza elettorale, pur grande, riesca a durare nel tempo avendo ostili le forze culturali del Paese. Gli sforzi dei partiti sovranisti devono dunque agire per un duplice scopo: irrobustire un trend elettorale in ascesa e ottimizzare le migliori forze culturali del Paese, mettendole nelle condizioni pratiche di operare fattivamente, attraverso la collaborazione o l’attivazione di una fitta rete di centri di ricerca, università, realtà editoriali.
Quando si parla di “cervelli in fuga” non bisogna solo fare riferimento ai giovani talenti che emigrano all’estero per trovare condizioni lavorative dignitose e gratificanti. Occorre anche pensare a quella moltitudine di cervelli esclusi dalle università o dai giornali, semplicemente perché non omologati alla narrazione progressista, che ingrossano le file degli “espatriati interni”, cioè di coloro i quali non avranno mai la possibilità di far parte del circuito culturale riconosciuto della nazione.
Il sovranismo abbonda di contenuti; non è un mero fenomeno di protesta. Ma perché possa ingrandirsi e durare nel tempo occorre un cambio di mentalità. I leader politici sovranisti devono avere il coraggio e la forza di scommettere sul lungo periodo, investendo nei talenti che abbracciano la causa sovranista, creando quelle condizioni grazie alle quali questi talenti possono emergere e dare frutti nei luoghi deputati, cioè nelle scuole, nelle case editrici, nei giornali e nelle università.
Qui si gioca la sfida del futuro della nazione. Superare la narrazione progressista antioccidentale e antinazionale della sinistra, gettare le basi perché una più onesta e corretta visione della nostra Storia e della nostra cultura si affermi come una visione che sia accettata e non censurata, testimoniando alle nuove generazioni l’idea che tramandare il patrimonio culturale italiano ed europeo sia una causa nobile e non qualcosa di cui vergognarsi.
Abyssus (pseudonimo) è un professionista che opera nel settore culturale ed editoriale italiano.
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