A livello diplomatico, per la Turchia, sembra essere un periodo abbastanza complesso: è dei giorni scorsi la notizia del riconoscimento da parte della House of Representatives degli Stati Uniti del “genocidio armeno”. Occorre, però, precisare cosa si intende nello specifico con l’utilizzo di questa espressione, essendo un tema che, anche nelle scuole, viene poco trattato e poco approfondito.
Con la dicitura “genocidio armeno” si indicano le deportazioni e le eliminazioni di armeni, compiute nell’Impero Ottomano tra il 1915 e il 1916, che comportarono circa 1,5 milioni di morti. La causa ufficiale è stata rintracciata dagli storici nel fatto che, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, molti armeni disertarono; inoltre, i battaglioni armeni dell’esercito russo cominciarono a reclutare fra le loro file connazionali che prima avevano militato nell’esercito ottomano. A questo si aggiungerebbero altre articolate dinamiche di natura religiosa ed economica – che non è opportuno analizzare in questa sede – dal momento che non solo gli armeni erano e sono tutt’ora cristiani, ma anche molto ricchi. I Giovani Turchi, in quel momento a capo del governo, perpetrarono questo sterminio, il quale, principalmente, consistette in deportazioni verso l’interno dell’Anatolia, caratterizzate da massacri lungo la strada e da morti per fame, malattia e sfinimento.
Tuttavia, il governo turco si è sempre rifiutato di riconoscere il genocidio a danno degli armeni, sostenendo che vi furono massacri reciproci, causati da una guerra civile e da una carestia, che, congiuntamente, fecero migliaia di morti da entrambe le parti; inoltre, in Turchia vige una legge che punisce con l’arresto o la reclusione fino a tre anni il solo fatto di nominare in pubblico l’esistenza del genocidio in questione, in quanto gesto anti-patriottico. Nonostante le controversie storiche e politiche, molti analisti concordano nel qualificare questo accadimento come il primo genocidio moderno, sebbene esso sia ufficialmente riconosciuto solo dal 29 Paesi, tra i quali vi è anche l’Italia.
Alla luce di questa breve e sicuramente non esaustiva disamina riguardante i fatti storici, è possibile capire la portata di questa recentissima risoluzione, mediante la quale la House of Representatives, con una maggioranza schiacciante – 405 sì su 435 voti, di cui solo 11 contrari – invita a “commemorare il genocidio armeno” ed a “rifiutare i tentativi di associare il governo americano alla sua negazione”. Il testo di questa deliberazione, che non è vincolante, deve ora essere approvato anche dal Senato. Ad ogni modo, si può dire che si tratta di un piccola vittoria anche per il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che, nel 2015, aveva definito l’eccidio degli armeni come “una delle peggiori atrocità di massa del XX secolo”, ma senza impegnarsi ufficialmente a riconoscerlo, cosa che, invece, aveva fatto nel 2008 Barack Obama, disattendendo, però, l’impegno.
Sicuramente soddisfatto è il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan, che, a caldo, ha dichiarato: “Accolgo positivamente lo storico voto del Congresso Usa sul riconoscimento del genocidio armeno, perché si tratta di un chiaro passo verso il ristabilimento della giustizia storica che conforterà milioni di discendenti dei sopravvissuti al genocidio”. Lo stesso non si può dire di Recep Tayyip Erdogan, il quale ha deciso di recarsi comunque domani a Washington.
Federica Ciampa è laureata in Giurisprudenza (Università di Roma – Tor Vergata) e collabora con vari blog.
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