La Corte di Giustizia Ue ha deciso, poco prima di Natale, che tre eletti catalani al Parlamento europeo, protagonisti delle iniziative politiche (pacifiche) per l’indipendenza di Barcellona e perciò finiti in carcere o in esilio, avevano diritto a godere dell’immunità e quindi a partecipare da subito alla legislatura apertasi dopo il voto del 26 maggio. Il punto rilevante stabilito dalla Corte è la dipendenza della “qualità di membro del Parlamento europeo dalla sola elezione dell’interessato”: in quanto “espressione del principio costituzionale della democrazia rappresentativa”, l’elezione dispiega i suoi effetti (diventare membro del Parlamento) dal momento della proclamazione dei risultati e non necessita di ulteriori formalità nazionali, come il giuramento a Madrid sulla Costituzione richiesto dalla Spagna (atto che il detenuto Oriol Junqueras e gli esuli Carles Puigdemont e Toni Comin non avevano potuto compiere).
È una sentenza importante per almeno tre motivi. Il primo motivo, dichiarato apertamente dalla Corte, è che la volontà popolare, quale si palesa nell’elezione del Parlamento Ue, non può essere gravata di condizioni che la limitano e anzi, in taluni casi, danno modo a uno Stato nazionale di annullarla.
Il secondo motivo riguarda il Parlamento europeo. Organo di cui si è spesso dichiarata l’irrilevanza, quasi l’impalpabilità, nell’architettura istituzionale dell’Unione, con il caso attuale sembra aver colto l’occasione per dare una conferma empirica alle critiche più acuminate. I vertici dell’Assemblea, di fronte a un divieto che negava ad alcuni membri – rappresentanti del popolo – status e facoltà d’azione, hanno taciuto: non hanno difeso le prerogative dell’organo presieduto, il suo diritto a una completezza non assoggettata a decisioni di terzi. È un’altra prova che il realismo degli interessi nazionali, la forza degli Stati prevale sull’idealismo dei proclami comunitari.
Il terzo motivo riguarda la varietà dei criteri di giudizio e la divergenza fra parola e azione vigenti nell’Ue. Il Regno Unito nel 2014 diede il via libera a un referendum sull’indipendenza della Scozia che si tenne senza problemi (vinsero i no con il 55% dei voti). La Spagna non solo vieta i referendum in materia ma scatena una durissima repressione corredata da severe pene detentive (in Europa si può fare un paragone solo con la Turchia e la sua repressione del partito curdo). L’Ue, che proclama se stessa quale massimo difensore dei diritti umani nel mondo, non dice nulla: la sua attenzione è concentrata sulla Polonia contro cui avvia una procedura d’infrazione perché manda in pensione anticipata magistrati già operanti in epoca comunista.
Antonio Pilati è stato componente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e consigliere d’amministrazione Rai ed è autore di numerosi saggi sui media e sulle relazioni internazionali.
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