In seguito al crollo dell’URSS nel 1991 furono in molti a pensare che lo scenario, ormai unipolare, avrebbe dato vita alla globalizzazione definitiva del pianeta. Teorie come quelle di Francis Fukuyama riguardo la fine della storia prospettavano un superamento definitivo delle identità dei diversi gruppi umani nei principi della democrazia liberale occidentale, ormai impostasi come sistema politico-valoriale logicamente migliore. Tra le voci contrarie a questo sogno internazionalista, spicca quella del politologo americano Samuel Huntigton, che nel suo saggio Lo Scontro delle Civiltà e il nuovo ordine mondiale descriveva uno scenario radicalmente diverso, in cui le variabili religiose ed etnico-linguistiche costituivano ancora i principali criteri di divisione dei gruppi umani. Per comprendere la reazione delle identità di fronte all’occidentalizzazione del mondo due concetti sono cruciali all’interno del saggio di Huntington: indigenizzazione e rivincita di Dio.

Il termine indigenizzazione indica il ritorno, graduale o violento che sia, della cultura indigena di un paese in seguito ad una prima fase di ricezione positiva della cultura occidentale. Citando Nye, Huntington afferma che il grado di accettazione di un determinato modello culturale dipende dalla sua autorevolezza e dal successo materiale. Insuccessi strategici, economici e scandali internazionali, riducono, come è stato per l’Occidente, la credibilità del modello e portano i popoli a guardare altrove, nello specifico, all’interno della propria storia. Il processo nasce in seno alle generazioni successive a quella che ha determinato l’avvicinamento del paese alla cultura occidentale (spesso e volentieri come èlite cooptata) e si risolve come un ritorno prepotente dell’identità locale nel panorama politico. A vantaggio di questa tesi il politologo cita il completo naufragio della linea kemalista in Asia, sostituita da fenomeni molto più muscolari, legati alla storia e alla cultura nazionali; nel caso della Turchia, ad esempio, la linea laicista del Novecento ha ceduto il passo al neottomanesimo di Recep Tayyip Erdoğan.

Strettamente collegata al riproporsi della cultura locale rimane quella Revanche de Dieu (Rivincita di Dio) descritta da Gille Kepel, che Huntigton fa propria. I meccanismi della globalizzazione, legata a doppio filo alla modernizzazione tecnologica ed economica, allo spostamento dalla campagna alla città e alla nascita di nuove forme di lavoro, generano un senso di alienazione che necessita di essere appagato da un qualcosa che superi il singolo individuo. Crollate le religioni politiche del novecento, dimostratesi inadeguate nel fornire un’identità e un’autorità collettiva, l’uomo si trova di nuovo di fronte alla domanda atavica del definire sé stesso e il suo gruppo e in misura sempre maggiore egli guarda alla forma di identità più antica ed irrazionale, la religione. La rinascita dell’Islam, dell’Ortodossia, del nazionalismo indù in paesi che appena pochi decenni fa erano tra i promotori del laicismo politico è da leggersi, almeno secondo Huntington, in questo senso.

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Se tali processi sono ormai sotto gli occhi di tutti per quel che riguarda i paesi non occidentali, è interessante analizzare alla luce di questa lente anche la situazione politica euro-occidentale. È possibile leggere in questo senso, di un ritorno dell’identità “indigena”, il fenomeno identitario del sovranismo che ha scosso l’Europa negli ultimi anni? Solo il tempo potrà fornire la risposta, eppure la crisi del sistema valoriale globalista si è fatta realtà anche in quella parte di mondo che lo ha elaborato, che sempre più spesso tende a dare fiducia a forze politiche che si pongono a difesa della tradizione religiosa e politica. Se anche la terra che lo ha generato iniziasse a diffidare dell’assioma progressista, per cui la storia non è altro che il raggiungimento finalista di uno stato in cui le identità e le differenze vengono superate in una humanitè globalizzata, l’intero sistema culturale della globalizzazione inizierebbe a sentire la mancanza della terra sotto i propri piedi.

La reazione sovranista-conservatrice potrebbe a questo punto essere interpretata variamente come un momentaneo periodo di “adattamento” prima del salto nel vuoto del progresso oppure come i prodromi del processo di indigenizzazione e reflusso della cultura autoctona e ancestrale del vecchio continente. Compito delle élite conservatrici rimane quello di rendere realmente efficace questo tipo di reazione e fare in modo che si muti da istinto inconsapevole in progetto consapevole, cavare la vecchia identità europea dal bagno nichilista della globalizzazione e scardinare una concezione culturale che da globale si sta facendo globalmente rifiutata.

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Studia la comunicazione politica, la narrazione, la capacità di creare miti e simboli per comprendere fino a che punto questo velo sia in grado di mascherare la realtà dei fatti. Proviene dal mondo del giornalismo, incubatore assieme all'università dei grandi miti post-moderni.