Si è talvolta detto che la linea protezionista, avviata da Donald Trump nei confronti della Cina, nascesse da una strategia sbagliata: una strategia che avrebbe prodotto conseguenze disastrose per l’economia statunitense. In realtà, la situazione appare lievemente più complicata.
Innanzitutto, tramite la sua dura tecnica negoziale, il presidente americano è riuscito a concludere un primo accordo commerciale con Pechino: un accordo che potrebbe garantire una svolta decisiva nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina. In secondo luogo, come recentemente notato dal “Wall Street Journal”, gli effetti negativi che l’economia americana ha subìto dalle tensioni tariffarie non sono così disastrosi come spesso si è detto.
Prendiamo il caso degli agricoltori, che si sono rivelati la classe maggiormente colpita dalla guerra dei dazi: non dimentichiamo infatti che l’export di soia statunitense verso la Repubblica Popolare si è drasticamente ridotto. Un problema a cui l’amministrazione ha cercato di ovviare (non senza efficacia) attraverso lo stanziamento di sussidi pubblici. Tutto questo, mentre l’impatto complessivo di simili dinamiche sull’economia si è comunque rivelato abbastanza limitato: non sono infatti molti gli americani attivi nel settore agricolo (circa l’1% della popolazione). Detto questo, non bisogna trascurare due ulteriori fattori. Innanzitutto l’accordo parziale raggiunto con Pechino implica che la Cina si impegni ad acquistare ampi quantitativi di prodotti agricoli statunitensi. In secondo luogo, come sottolineato dalla CNN lo scorso dicembre, pare che – nonostante i disagi – gran parte dei contadini americani si sia schierata dalla parte di Trump nello scontro tariffario con la Repubblica Popolare: un elemento che potrebbe tornare utile al presidente in campagna elettorale.
Sul fronte del mercato del lavoro, si registrano invece segnali in chiaroscuro per entrambi i Paesi. Il governo americano ha reso noto che, a dicembre, il manifatturiero statunitense ha perso 12.000 posti di lavoro: il punto è che la maggior parte degli americani non opera nei settori interessati dalla guerra commerciale con la Cina e infatti i risultati migliori conseguiti sul fronte lavorativo riguardano comparti come sanità, tempo libero e servizi finanziari. Anche la Cina ha tuttavia le proprie preoccupazioni. La CNN ha recentemente riportato che – al di là dei dati ufficiali – la Repubblica Popolare è profondamente preoccupata per il proprio tasso di disoccupazione e che – per questo – sta mettendo in campo misure di stimolo economico. In particolare, quello che si teme è il diffondersi del malcontento, con probabili disordini sociali ed eventuali conseguenze di natura politica. Problemi Pechino li registra anche sul fronte del commercio internazionale: le importazioni statunitensi dalla Cina sono infatti diminuite di oltre 70 miliardi di dollari. Senza poi considerare che il calo delle importazioni (dal valore di circa 30 miliardi di dollari) ha prodotto delle ripercussioni negative per il settore manifatturiero cinese.
Insomma, nonostante i problemi riscontrati dall’economia americana, la Repubblica Popolare non sembra potersi permettere di dormire sonni troppo tranquilli. Un fattore che probabilmente ha costituito una leva negoziale per Trump nel corso delle trattative commerciali. Bisognerà adesso chiaramente vedere se la Cina rispetterà gli obblighi, Ma, qualora dovesse funzionare, l’intesa potrebbe garantire al presidente americano una decisa spinta verso la rielezione.
Stefano Graziosi è ricercatore del Centro Studi Machiavelli.
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