Approcciarsi ai saggi di Paola Mastrocola potrebbe darci, nelle prime pagine, l’impressione di essere di fronte ad ennesimi pamphlet denuncianti i mali atavici della scuola italiana e l’ignoranza degli studenti. La realtà, proseguendo, è ben diversa. Per chi non li avesse mai avuti davanti, Togliamo il disturbo, saggio sulla libertà di non studiare e La scuola raccontata al mio cane si presentano come saggi approfonditi non solo sul tema del deterioramento dell’insegnamento nel nostro Paese, ma in generale sul concetto moderno di “istruzione”.

Paola Mastrocola, professoressa in un liceo torinese, prima di passare a denunciare i mali delle nostre scuole, si interroga sulla figura dell’insegnante. Che cos’è un insegnante? Qual è la sua missione? Per Paola Mastrocola si tratta di trasmettere un sapere, una conoscenza; un atto che presuppone il riconoscere il nostro non essere eterni. L’uomo insegna poiché riconosce i propri limiti temporali: perciò è interessato a donare agli altri il suo sapere, affinché prosegua quando egli non ci sarà più. Si può dire che oggi sia ancora così? Tralasciando ogni riferimento, che ci porterebbe troppo lontano, alle attuali sindromi d’onnipotenza dell’uomo contemporaneo che si finge immortale, la saggista si sofferma spesso su cosa lo Stato e la società vogliono che l’insegnante sia.

L’insegnante sarebbe stato gravato sempre più di compiti non suoi: si pretende che sostituisca la famiglia (oggi istituzione sfilacciata se non del tutto assente), e in subordine l’oratorio, il confessionale, la palestra, il circolo culturale e via dicendo. La scuola mai come ora è inondata di cosiddetti progetti che servirebbero a renderla più aperta, inclusiva e “stimolante”, contrapponendola allo sterile approccio passato, denominato “nozionismo”. Il nozionismo, ovvero l’approccio ante ’68, è accusato di essere intralcio alla serenità dello studente. Ma la scuola, sostiene la scrittrice torinese, deve istruire, non rendere sereni.

L’attacco al nozionismo è da considerarsi strategia eminente del progressismo, e la Mastrocola ne traccia la storia, perlomeno della sua ramificazione all’interno delle scuole italiane, attribuendone l’irruzione ai due personaggi chiave della mitografia progressistica scolastica italiana: Don Milani e Gianni Rodari. Dalla confluenza dei due sarebbe nata, secondo le sue parole, “una specie di grosso pensiero collettivo identitario comune, un pensiero in cui un folto gruppo di persone politicamente affini si è alla fine totalmente riconosciuto”. Dai due rispettivi testi Lettera ad una professoressa (1967) e Grammatica della Fantasia (1973) nasce l’antinozionismo progressista in Italia.

Nel primo libro, un ragazzo di Barbiana chiede alla sua professoressa di non insegnare più cose lontane dal suo mondo come l’epica classica o la storia dell’arte. Queste cose “sono cose inventate dai ricchi per umiliare i poveri, per farli sentire inadeguati, e perpetuare la loro posizione di privilegiati”. Una lettura marxista espressa in chiave cattolica che non poteva non fare presa in quegli anni. L’ignorante, in poche parole, chiede che gli si insegnino cose a lui vicine: la grandezza, del passato e dei grandi, lo umilia. La saggista, ben lontana dal denunciare ciò in chiave conservatrice, denota come sia questa visione, apertamente paternalistica, a condannare lo svantaggiato a rimanere ciò che è, preferendo lasciarlo nell’ignoranza anziché metterlo di fronte a modelli elevanti.

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I saggi proseguono trattando anche il devastante impatto di internet e della comunicazione social sul modo di concepire la realtà degli studenti. La stessa idea di studio ne viene minata alla base. “Studiare vuol dire stare molto fermi con la mente su una cosa sola, e per moltissimo tempo. Tre cose oggi deleterie: star fermi, su una cosa sola, per moltissimo tempo. Tre cose che contrastano con la mobilità, la molteplicità, la velocità”. Studiare è antimoderno per definizione. La liquidità comunicativa, l’incapacità nel rimanere fermi a portare a termine una sola attività per volta, mina le fondamenta dell’istruzione rendendola un surrogato di istituzioni educative in corso di deterioramento. Non soltanto: gli studenti risultano sempre più incapaci di rimanere, oltre una limitatissima soglia di tempo, concentrati su di un singolo concetto, con risultati devastanti sull’apprendimento.

Saltati i codici comunicativi, lo stesso patrimonio culturale ereditato diventa incomprensibile. I codici comunicativi saltano, peraltro, non per assenza di comunicazione, ma per sovrabbondanza di essa. Nel clima postmoderno importato da Rodari si impone “un metodo didattico alternativo, impostato sullo smontare e rimontare un testo, partendo dalle parole, e giocando all’infinito sul senso e il nonsenso”. Il decostruzionismo rodariano, che si impone di limitare quanto più possibile il nozionismo della grammatica e dei dettati ortografici, si coniuga con la pretesa, organica alle suggestioni di quel tempo, per cui non esiste una sapienza univoca, ma ognuno di noi è speciale, e ne detiene una propria da valorizzare. L’insegnante non è più un dispensatore verticale di conoscenze, ma un direttore d’orchestra che dirige uno scambio orizzontale, assembleare, tra persone “speciali”.

Questa prassi all’insegnamento va chiaramente a danno del “genio”, già condannato da Milani, inquadrato come l’aristocratico attaccato ai suoi privilegi in un mondo di aspiranti eguali; e qui andrà a terminare, secondo la Mastrocola, il paradigma democratico. Se l’amore per l’eguaglianza va a tradursi nell’odio per i migliori, non servirà la moltiplicazione dei canali di comunicazione, poiché vi rimarrà solo mediocrità. La scuola odierna, incapace d’apprezzare la diversità dei migliori, tende ad annientarla. Se così sarà anche in futuro – conclude la Mastrocola – “questa finta democrazia morirà per noia”.


Marco Malaguti è animatore di Progetto Prometeo.

Marco Malaguti
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Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.