Con la crisi mondiale del Coronavirus Carl Schmitt batte Karl Popper dieci a zero. Per la verità l’abbiamo sempre saputo, semmai è l’ennesima conferma della fragilità del concetto di «società aperta» del sempre troppo sopravvalutato, come filosofo politico, pensatore austriaco. Quello che invece deve aver avuto un’illuminazione per il giurista tedesco è un altro giurista, non renano come Schmitt, ma del Tavoliere, cioè Conte.

Qualcuno, non sappiamo se Rocco Casalino, gli deve aver detto che «sovrano è chi decide nello stato di eccezione» e che perciò si può gestire in senso emergenziale una crisi, per conquistarsi sul campo quel potere di cui, né sul piano della legittimazione né su quello della legittimità, per usare una distinzione ancora schmittiana, il nostro Giuseppi sembra ancora dotato. Quanto di meglio allora che imporre di fatto lo stato d’assedio con esercito in alcune aree del paese, introdurre provvedimenti da Italia sotto i bombardamenti, voler commissariare le regioni amministrate dall’opposizione, silenziare la Rai? Come dite, pare che l’esplosione del virus sia stata largamente causata dalla sciagurata politica del suo stesso governo nelle settimane precedenti? Che importa? Lo stato di eccezione metterà tutto a tacere, e io finalmente sarò Sovrano, si deve essere detto Josephi, prussianizzato per l’occorrenza.

Ora purtroppo Casalino, o chi per esso, deve aver riportato al nostro solo la frase di Schmitt, omettendogli di inviargli un whatsapp di tutto il libro da cui è tratta (Teologia politica, 1922) e soprattutto di parlargli del contesto in cui Schmitt aveva pensato. Il giurista tedesco non riteneva infatti che bastasse concionare di una «emergenza» per diventare decisore e, quindi, sovrano: sennò il più scalcinato sindaco piddino o addirittura 5 stelle di un paesino diventerebbe il Decisore anche di fronte a una fuoriuscita fognaria. Lo Stato di eccezione, prima di tutto, è necessario non per salvare la salute dei cittadini, di cui a Schmitt sul piano filosofico interessava poco, ma lo Stato stesso. Quanto al Decisore, almeno quando Schmitt pubblicò la prima edizione di Teologia politica, non era certo Hitler, allora a capo di un minuscolo partito putschista che Schmitt disprezzava, ma il grande Funzionario prussiano. Non a caso, nel suo libro La dittatura, uscito solo l’anno prima, e che andrebbe sempre letto in pendant con Teologia politica, Schmitt spiegava che uno dei requisiti della dittatura è l’efficienza.

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La dittatura quindi è soprattutto un governo tecnico. Ora il nostro Konten si pensa come un «tecnico» ma quanto a efficienza lascia molto a desiderare, oltre al fatto che l’accento del Tavoliere difficilmente farebbe pensare al funzionario dello Stato prussiano, cioè dello Staat di Hegel, mica pizza e fichi. La gestione contiana dell’emergenza, cioè dello stato di eccezione, è infatti disastrosa, creando peraltro una quantità di panico simile agli anni dei bombardamenti angloamericani. Se vuoi dominare nello stato di eccezione il panico e la paura sono perfetti, per carità. Ma tu devi apparire come colui che libera il popolo (Volk) dalla paura, non che ne infonde di più. E allora, corsa ai ripari, e via lo stesso Josephi, assieme a ministri, scienziati e giornalisti di complemento, precipitarsi in Tv e sui giornali a spiegare che il Coronavirus è «poco più di un raffreddore», « solo un’influenza », che poi «muoiono solo gli anziani » (Fornero apprezza). Ma se è cosi, allora perché hai messo lo stato di assedio e minacci di imbavagliare regioni e televisione? E infatti già oggi molti imprenditori stanno protestando, perché lo stato di eccezione imposto dal nostro schmittiano del Tavoliere è costato una cifra spaventosa.

Insomma, tutto il mondo si sta attrezzando contro il Coronavirus, ma da noi il pericolo maggiore pare essere il virus che qualcuno (e sappiamo bene chi) ha voluto mantenere a Palazzo Chigi.


Marco Gervasoni, professore ordinario di Storia contemporanea, è Consigliere Scientifico del Centro Studi Machiavelli.