La Court of Appeal, la seconda più alta corte in Inghilterra e Galles dopo la Corte Suprema, ha stabilito che il contratto di matrimonio islamico, noto come nikah in arabo, non è valido ai sensi della legge inglese. Una sentenza appena sfornata in Gran Bretagna e che sferra un duro colpo contro i tentativi di far penetrare la legge della shari’a nel sistema legale britannico.

La sentenza fa riferimento a un caso che coinvolge una coppia di origini pakistane, “sposata” da un imam nel lontano 1998. Nel 2016 la donna chiede il divorzio, sospettando l’intenzione del marito di prendere una seconda moglie, ma lui si oppone. E avanzando l’obiezione che il loro matrimonio non è da ritenersi legalmente riconosciuto secondo la legge inglese, tenta di ostacolare la separazione e qualsiasi richiesta prevista da un legale divorzio in termini di denaro, figli e proprietà. Dopo un lunghissimo processo rimbalzato tra i vari gradi, qualche giorno fa la Court of Appeal ha stabilito che i matrimoni nikah sono da considerarsi “non matrimoni” nell’ambito della legge inglese.

Il matrimonio islamico, infatti, non è paragonabile a quello cristiano: non ha il medesimo valore di fronte alla legge e quindi priva la donna, che ha un ruolo completamente subalterno nella dimensione islamica, di qualsiasi diritto che altrimenti le verrebbe garantito. Secondo le attiviste dei movimenti in difesa delle donne, come la Southall Black Sisters, l’ultima sentenza non fa che danneggiare le musulmane costrette a rivolgersi ancora ai clandestini “tribunali” della shari’ache già causano danni significativi a donne e bambini”. La verità è che la sentenza, invece, non ha fatto che ostacolare l’ennesimo tentativo di lasciare che la legge della shari’a finisca con l’imporsi nel sistema giuridico britannico per inventare diritti e doveri che la giustizia e la cultura occidentale non contemplano. La decisione della Corte, infatti, riafferma efficacemente il principio secondo cui gli immigrati che si stabiliscono in Gran Bretagna devono conformarsi alla legge britannica, piuttosto che il contrario.

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Parliamo di un Paese dove alcuni documentari prodotti dalla BBC, negli anni scorsi, hanno svelato l’esistenza di oltre 85 tribunali islamici della shari’a disseminati tra moschee e abitazioni private. Luoghi dove i musulmani inglesi emettono abitualmente decisioni su questioni interne e coniugali secondo la legge islamica, si pronunciano in merito a conflitti di eredità, disaccordi contrattuali tra proprietari e inquilini e talvolta tra dipendenti e datore di lavoro.

Senza le sentenze delle alte corti, la shari’a finirà con il diventare la legge dominante nelle aree musulmane. Già diversi sondaggi mostrano che la maggior parte dei musulmani, e in particolare i più giovani, in Gran Bretagna vuole che la legge della shari’a entri a far parte della legge britannica. Qualcosa che non è in accordo con i valori dei sistemi democratici minati alle basi. Basta considerare che l’islam prevede che l’uomo possa considerare come divorzio il semplice rito del ripetere per tre volte la formula, “divorzio da te”, mentre alla donna è chiesto il pagamento di un tributo per ottenerlo. Ma la strada per arrivare a smontare la società parallela che i musulmani si stanno costruendo in Europa è ancora lunga e insidiosa.


Lorenza Formicola, giornalista e saggista, scrive per “Il Giornale” e la “Nuova Bussola Quotidiana”.

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Saggista e pubblicista, è analista del mondo arabo e islamico. Si occupa di immigrazione e sicurezza, con una particolare attenzione alla nuova islamizzazione dell'Europa. Scrive soprattutto per "La Nuova Bussola Quotidiana", "Analisi Difesa" e "Il Giornale".