Prima o poi, i nodi verranno al pettine. Tutte le cause liberal sono destinate ad implodere su se stesse. Figurarsi quando qualcuno pretende di rivendicarne più d’una contemporaneamente. L’Olanda è il paese simbolo dei paradossi di un progressismo dalle mille sfumature cromatiche: l’arcobaleno sgargiante fuori, il nero e il grigio del nichilismo dentro. Nessuno stupore, quindi, se ad Amsterdam, il leader del Gay Pride locale, Frits Huffnagel, viene linciato sui social dai suoi stessi sodali per aver espresso un’opinione fuori dal coro: il nuovo esodo dei siriani in transito tra Turchia e Grecia, andrebbe fermato. “Questa gente non dovrebbe venire qui – ha dichiarato Huffnagel al programma radiofonico Spraakmakers –. Vediamo un bambino e pensiamo: poverino. Ma non vediamo che dietro a lui ci sono la madre e il padre che potrebbero essersi macchiati di crimini”.
Apriti cielo: si leva alto e forte il grido dei nuovi moralisti arcobaleno, mentre il COC, associazione in prima linea per i diritti degli lgbt olandesi (peraltro tra i più tutelati e privilegiati del mondo) si affretta subito a chiedere “misure serie” contro il presidente del Gay Pride di Amsterdam, nonché le sue dimissioni immediate, poi ottenute. Anche in area mitteleuropea, il microcosmo lgbt, nel suo complesso, si piega all’ideologia immigrazionista ma, rispetto all’Italia, prevalgono i distinguo e le problematicità. Basti pensare che Pim Fortuyn, il leader di estrema destra anti-immigrazionista, assassinato nel 2002, era dichiaratamente omosessuale, così come è lesbica Alice Weidel, leader di Alternative für Deutschland, il partito di estrema destra tedesco che, da almeno tre anni, sta erodendo consensi alla CDU di Angela Merkel. Totalmente omologati alla linea dell’accoglienza a tutti i costi, sono invece gli lgbt nostrani, complici, probabilmente, anche le affinità elettive con il sempre potente carrozzone cattocomunista. Ne è una dimostrazione l’emblematico e irriferibile slogan dell’ultimo Gay Pride romano: “Porti aperti come i nostri c..i”.
La religione secolare dell’internazionale progressista prevede, tra i suoi precetti, l’inclusione dei gay e degli immigrati dal Sud del mondo nella categoria delle minoranze, quindi entrambi meritevoli di un’attenzione e di una tutela speciali. Non è un caso che, tra le richieste d’asilo, abbondino quelle – quasi sempre fasulle – dei rifugiati sedicenti omosessuali, in fuga da regimi omofobici. E tuttavia: abbiamo mai provato a immaginare cosa pensino realmente gli immigrati più o meno regolari, provenienti da Africa, Medio Oriente e Asia (specie quelli di religione islamica), del libertinismo dei costumi occidentali? Siamo proprio sicuri che il bengalese trapiantato a Londra o il gambiano che chiede l’elemosina all’uscita del supermercato a Milano, a Bologna o a Napoli stravedano per le rivoluzioni antropologiche propagandate da quegli stessi politici che sognano un’Italia multiculturale e scalpitano per l’approvazione dello ius soli?
È più che evidente che una delle ragioni dell’enorme difficoltà di integrazione per le varie comunità extraeuropee sia proprio nella diversità di costumi. Anche se non lo dicono in modo esplicito, c’è da scommettere che tanti immigrati ci disprezzano per il nostro stile di vita, per la nostra gaudente decadenza e anche per la concezione stessa dell’uomo. E a questo punto, ci sia permessa una profezia: l’Europa del futuro sarà cristiana o, forse, musulmana. Ma non sarà certo arcobaleno.
Luca Marcolivio è giornalista professionista free lance
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