di Luca Marcolivio

 

Al culmine dell’emergenza coronavirus, risultano ancora tutte da decifrare le mosse di George Soros. L’unico dato su cui l’entourage del finanziere-filantropo di origine ungherese sembra decisamente giocare a carte scoperte è la guerra alla famiglia, considerata un elemento perturbativo piuttosto che una risorsa nella reazione alla pandemia.

È significativo, innanzitutto, notare come la Open Society Foundation sorosiana non abbia tardato a mettere in campo i suoi aiuti umanitari, evitando, però, di indirizzarli, all’emergenza sanitaria in senso stretto ma destinandoli esclusivamente a quella finanziaria. Un milione di euro è stato stanziato, del resto, non per tutta l’Italia ma solo per la “città di Milano”, in quanto “pilastro dell’economia italiana”, peraltro “indissolubilmente legata al progetto europeo”, quindi “fattore cruciale per l’intera economia europea”. Nell’annunciare l’operazione, la Open Society ha colto l’occasione per bacchettare l’Unione Europea, “lenta nel rispondere, chiudendo le frontiere e voltandosi verso l’interno piuttosto che protendersi nello spirito di cooperazione e sacrificio condiviso”.

La strategia sorosiana sembrerebbe così riassumersi: nessuna attenzione ai malati o alla sanità in sé, tutti i riflettori sono puntati sul risvolto economico, sulla possibile disgregazione della stessa Unione Europea (tanto cara al finanziere ungherese) e sulla crisi che verrà. Nuove speculazioni in vista dopo quella sulla lira del 1992?

Milano, comunque, non è l’unica città al centro delle attenzioni di Soros: un milione di euro sono stati destinati dal miliardario anche a Budapest, attualmente governata da un sindaco del partito avverso al premier Viktor Orban. In questo modo, Soros si prende una rivincita sul governo sovranista ungherese, che due anni fa aveva fatto chiudere la Central European University di Budapest, fino ad allora avamposto accademico del liberismo euro-americano tra i paesi del blocco di Visegrad. L’ateneo sorosiano ha quindi spostato la sua sede a Vienna.

Parallelamente all’impegno filantropico, l’Open Society Foundation non smette di portare avanti la sua propaganda ideologica, come dimostra l’editoriale firmato dalla scrittrice femminista Sophie Lewis sul sito “Open Democracy” (co-fondato dalla Open Society), dall’eloquente titolo The coronavirus crisis shows it’s time to abolish the family. “Meritiamo di meglio della famiglia – si spinge a scrivere Sophie Lewis – e il tempo del coronavirus è un momento perfetto per provare ad abolirla”. Come si spiega tanta ostilità? All’interno di una famiglia in quarantena, argomenta la Lewis, proliferano non solo le “pulizie”, la “cucina” o il “prendersi cura” ma anche “gli abusi sui bambini”, le “molestie”, la “tortura psicologica” e persino lo “stupro” ai danni del partner. Anche per questo, aggiunge l’autrice, i tempi sarebbero maturi, non solo per superare la famiglia e persino il “capitalismo” ma anche l’idea della gravidanza tradizionale a tutto vantaggio di “una piena maternità surrogata”.

Una serie di asserzioni davvero curiose, nella misura in cui non solo Soros e Open Society sono la massima espressione della filosofia capitalista odierna, ma la stessa maternità surrogata è un veicolo formidabile per tale etica capitalista “avanzata”, che trasforma finanche il corpo stesso della donna in una merce e il concepimento della vita umana in un business. Secondo Lewis, “la maternità è un edificio ideologico molto potente”, al punto che “esiste un’ideologia molto radicata che ci rende incapaci di comprendere che a qualcuno la maternità potrebbe non piacere”. Davvero viene da domandarsi contro quale modello culturale l’autrice si stia scagliando, dal momento in cui risulta davvero difficile pensare a un paese occidentale in cui le donne non siano poste nella libertà di scegliere tra il mettere su famiglia oppure no, tra il diventare madri e il dedicarsi esclusivamente al lavoro.

LEGGI ANCHE
Così in 100 giorni Biden si è già rivelato il presidente più "arcobaleno" di sempre

Nelle situazioni peggiori e nelle emergenze collettive, le persone – e, in questo caso, le istituzioni – si svelano per ciò che davvero sono, mostrando talune il loro meglio e talaltre il loro peggio. Nel caso di George Soros e della sua “Open Democracy”, risulta evidente, una volta per tutte, quali siano le loro priorità e si conferma la loro abilità nel trarre profitto da ogni crisi umanitaria, per quindi fornire ulteriore carburante alle proprie macchine ideologiche.

+ post

Saggista e giornalista professionista, è accreditato alla Sala Stampa della Santa Sede dal 2011. Direttore del webmagazine di informazione religiosa"Cristiani Today", collabora con "La Nuova Bussola Quotidiana"e"Pro Vita & Famiglia". Dal 2011 al 2017 è stato caporedattore dell’edizione italiana di "Zenit".