di Luca Ruggeri

 

In vista della riunione del vertice europeo del 23 marzo può risultare utile qualche breve considerazione circa la risposta europea alla crisi del coronavirus con particolare attenzione all’ipotesi dell’utilizzo del MES (Meccanismo Europeo di Stabilità, in inglese ESM – European Stability Mechanism) in versione priva di condizionalità.

Sulla base dell’incontro dell’Eurogruppo del 7/9 aprile a sostegno dell’economia europea, duramente colpita dalla crisi del coronavirus, sono state ipotizzate le seguenti misure:

1) un intervento della BEI (Banca europea per gli investimenti) per assicurare 200 miliardi di finanziamenti alle imprese, soprattutto alle piccole e medie imprese; tale intervento sarà sostenuto da 25 miliardi di garanzie dei singoli Stati al fine di consentire l’emissione di bond per 200 miliardi.

2) La costituzione di SURE (“Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency”), uno strumento che dovrebbe assicurare risorse per 100 miliardi nella forma di finanziamenti agli Stati da utilizzarsi esclusivamente a favore delle diverse forme di sostegno al reddito dei lavoratori nei singoli ordinamenti nazionali; l’attivazione di SURE peraltro presuppone la messa a disposizione di 25 miliardi di garanzie complessive da parte degli Stati.

3) L’introduzione di una nuova tipologia di linea di credito del MES detta “Pandemic crisis support”, strutturata come le linee di credito precauzionali già esistenti.

La somma delle tre misure sopra elencate ammonta a circa 540 miliardi, palesemente troppo poco per affrontare i danni cagionati dall’attuale crisi, come si percepisce chiaramente se si confronta tale importo con la latitudine degli interventi negli USA o in Gran Bretagna e così come confermato dalla Banca Centrale Europea, che ha stimato un fabbisogno di almeno 1.000 miliardi.

Alle sopra citate iniziative va sommata la proposta francese, supportata dal nostro governo, di creare un Fondo europeo per la ripresa, una sorta di fondo temporaneo per fronteggiare i costi della pandemia. Il Fondo dovrebbe ammontare a 500 miliardi ma non è chiaro come debba essere finanziato, argomento tutto da discutere e circa il quale si ha solo un riferimento a strumenti finanziari innovativi (“innovative financial instruments”) che alcuni leggono quali eurobond.

In attesa del concretizzarsi di quanto descritto, a livello europeo l’unico vero sostegno è dato dal programma di acquisto titoli PEPP (Pandemic emergency purchase programme) varato dalla Banca Centrale Europea, nella notte tra il 18 ed il 19 marzo 2020. Il programma ammonta a complessivamente 750 miliardi di euro con durata sino alla fine del 2020. L’ampiezza del programma di acquisto e la sua flessibilità, che ha favorito in particolar modo l’Italia, hanno comportato una immediata riduzione dello spread anche in forza della convinzione degli operatori finanziari che la BCE sia disponibile ad ampliare l’intervento ed a prolungarlo se lo riterrà necessario.

Tra gli strumenti individuati dall’Eurogruppo per fronteggiare la crisi vi è anche il MES. In dettaglio si prevede l’introduzione di una nuova tipologia di linea di credito del MES detta “Pandemic crisis support”, strutturata come le linee di credito precauzionali già esistenti (“ECCL precautionary credit line” quindi alla linea di credito soggetta a condizioni rafforzate, enhanced conditions credit line). I relativi fondi saranno richiedibili per tutta la durata della crisi a condizioni standardizzate per tutti gli Stati richiedenti, evitando quindi differenziazioni tra singoli Stati in considerazione del fatto che la crisi in corso non dipende da precedenti squilibri finanziari nazionali. Le somme saranno utilizzabili esclusivamente per far fronte alle spese sanitarie per la crisi coronavirus (“direct and indirect healthcare, cure and prevention related costs due to the COVID 19 crisis”). In totale le risorse a disposizione saranno pari a 240 miliardi e ciascun paese potrà riceverne per un ammontare pari al 2% del proprio PIL; per l’Italia si tratterebbe quindi di circa 36 miliardi di nuovo debito ad un tasso di favore rispetto a quello da pagarsi sui mercati.

Cercando di ancorare la valutazione di questa tipologia di intervento ai dati di fatto, invero assai scarni, si possono comunque evidenziare alcuni aspetti.

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Il MES è regolato da un trattato internazionale che ne detta in dettaglio l’operatività; ad esempio l’art. 14 indica le due diverse tipologie di linee precauzionali e le modalità di utilizzo. Risulta difficile comprendere come il Consiglio dei Governatori, l’organo di governo del MES, possa decidere in totale difformità rispetto al trattato concedendo la nuova linea. Nella nota per la stampa infatti il tema viene affrontato ove si dice che in presenza di un mandato politico dei leaders europei il nuovo strumento europeo verrà reso disponibile in due settimane rispettando le procedure nazionali ed i requisiti costituzionali; visti i tempi e le difficoltà incontrate dalla precedente proposta di modifica, poi scomparsa nel nulla, la tempistica indicata appare quanto meno ottimistica.

Dando per scontata una celere adozione, la principale criticità legata al MES, come noto, è costituita dalle condizionalità che lo caratterizzano, rilievo valido per tutte le tipologie di linee di credito. L’accesso alla nuova linea richiederà solo l’impegno a utilizzare i fondi rispettando il vincolo di destinazione, le spese sanitarie, ed in forza di ciò la stampa e parte delle forze politiche sottolineano che si tratta di un MES senza condizionalità.

Leggendo la nota stampa della riunione dell’Eurogruppo, unica fonte pubblica in materia, risulta complesso conciliare la prospettata assenza di condizionalità con l’affermazione secondo la quale, cessata l’emergenza coronavirus, lo Stato richiedente sarà tenuto a rafforzare i propri fondamentali economici e finanziari in linea con il coordinamento economico e fiscale europeo (“euro area Member States would remain committed to strengthen economic and financial fundamentals, consistent with the EU economic and fiscal coordination and surveillance frameworks, including any flexibility applied by the competent EU institutions”). Una mera frase di stile oppure un impegno la cui effettiva consistenza è tutta da comprendere? Rimane da chiarire e ciò costituisce la variabile essenziale ai fini della valutazione dell’intervento del MES; accettare infatti delle condizionalità per risparmiare un punto percentuale annuo di interessi su 36 miliardi sarebbe palesemente fuori luogo.

Un ulteriore aspetto spesso sottolineato da chi sostiene l’opportunità di accettare la nuova linea di credito del MES è dato dalla possibilità di poter accedere al programma OMT (Outright Monetary Transactions) della BCE; tale programma è volto all’acquisto diretto da parte della BCE stessa di titoli di Stato a breve termine emessi da paesi in difficoltà macroeconomica grave e conclamata, difficoltà che verrebbe provata proprio dal ricorso al MES. Va però evidenziato che attualmente, di fatto, tale funzione viene svolta dal programma PEPP recentemente avviato dalla BCE.

Rimane sotto traccia la perplessità circa l’effetto stigma per l’Italia sui mercati finanziari a fronte di un eventuale ricorso al MES. In altre parole riconoscere le proprie difficoltà finanziarie per soli 36 miliardi quando la crisi sarà sicuramente lunga, profonda e costosa appare poco lungimirante; vi è il tangibile rischio di limitare in futuro il nostro potere negoziale in sede europea ed a questo proposito ci permettiamo di ricordare lo spirito punitivo, e di spiccato favore per un solo paese europeo, che animava la riforma del MES, la cui sparizione costituisce uno dei pochissimi lati positivi dell’attuale crisi.

A titolo di piccola proposta, più che attendere salvifici interventi europei, peraltro tutti a debito, va approfondita la possibilità di emissioni rivolte ai risparmiatori italiani caratterizzate da un lungo termine, un tasso interessante e da un favorevole trattamento fiscale.

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Ricercatore senior del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Economia, ha lavorato per oltre venti anni presso una grande banca italiana ed attualmente svolge la propria attività quale direttore generale presso un investitore istituzionale.