di Luca Ruggeri

La Banca centrale inglese (BOE – Bank Of England) il 7 maggio ha diffuso il proprio Monetary Policy Report trimestrale ed un Interim Financial Stability Report. Sono due documenti di grande interesse per la quantità di dati ma anche per il prestigio dell’istituzione britannica e l’importanza di Londra quale piazza finanziaria.

Tra i dati di maggiore interesse vi è la previsione circa l’andamento del prodotto interno lordo britannico nel 2020, pesantemente colpito dalla pandemia. La stessa BOE precisa che la previsione è assai incerta a causa dell’assenza di precedenti e che l’esito dipende significativamente dall’evoluzione della pandemia, dalle reazioni dei governi, delle famiglie, del business nonché dai mercati finanziari.

Premesso ciò la BOE indica, per il 2020, un calo del PIL del 14%, così rilevante da essere definito drammatico, sia pure seguito da una crescita del 15% l’anno successivo. Si tratta di una valutazione molto più pessimistica di quanto indicato dalla Commissione Europea, che stimava un -8,3% (-9,5% per l’Italia) e dal Fondo Monetario Internazionale che propendeva per un -6,5% (-9,1% per l’Italia). Nel 2021 sapremo chi più si è avvicinato alla realtà ma il tratto comune di tutte le previsioni è un andamento dell’anno in corso pesantemente negativo.

Coerentemente con tale quadro la reazione della BOE è assai energica, in particolar modo il quantitative easing, l’acquisto di titoli di Stato e di titoli aziendali di qualità (investment grade), annunciato in marzo, ammonta a 645 milioni di sterline (circa 724 milioni di euro).

L’importo del QE britannico è curiosamente assai prossimo all’ammontare previsto per il programma di acquisto titoli PEPP (Pandemic emergency purchase programme), varato dalla Banca Centrale Europea, per complessivamente 750 miliardi di euro, con durata sino alla fine del 2020. Una azione estremamente opportuna ma di importo relativamente limitato; il confronto con la BOE lo sottolinea dato che i 645 milioni di sterline riguardano la sola Gran Bretagna mentre i 750 miliardi di euro della BCE l’intera zona euro.

Alla BCE si dovrebbero affiancare, nel contrastare la crisi in atto, un intervento della BEI (Banca europea per gli investimenti) per assicurare complessivamente 200 miliardi di finanziamenti alle imprese, la costituzione di SURE (“Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency”), uno strumento che dovrebbe fornire risorse per 100 miliardi nella forma di finanziamenti agli Stati da utilizzarsi esclusivamente a favore delle diverse forme di sostegno al reddito dei lavoratori nei singoli ordinamenti nazionali; infine l’ormai famosissima linea di credito del MES, detta “Pandemic crisis support”, per un importo sino al 2% del PIL di ciascun paese (per l’Italia circa € 36 miliardi).

Ad oggi, ormai a metà di maggio, nulla è giunto alle imprese ed ai lavoratori; circa il SURE fonti di stampa informano che ben difficilmente sarà operativo per giugno mentre circa il MES permangono diverse perplessità, il tutto comunque a fronte di cifre relativamente limitate se si considera l’attuale situazione e le sopra citate previsioni per l’intero 2020.

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L’unico soggetto europeo degno di menzione è proprio la BCE la cui azione ha consentito di ridurre il costo della provvista sui mercati da parte del nostro Paese. La sola comunicazione dell’approvazione del nuovo programma di acquisti ha tranquillizzato i mercati, peraltro convinti che, in caso di necessità, la BCE sarebbe intervenuta in misura più massiccia rispetto alle dimensioni dichiarate del programma.

In questo quadro si è inserita la sentenza del 5 maggio della Corte Costituzionale tedesca che ha affermato che il programma PSPP (Public Sector Purchase Programme) della BCE, attraverso il quale la BCE acquistava titoli, risulta eccessivo rispetto agli obiettivi indicati nello statuto della BCE stessa, impegnando il governo ed il parlamento tedesco a monitorarne l’operato nonché ipotizzando che la Banca Centrale tedesca non vi prenda più parte. Lasciamo ai giuristi la valutazione della sentenza ed il suo inquadramento nell’ambito della struttura giuridica europea ma ci si permetta una breve considerazione dal punto di vista economico.

All’annuncio della sentenza l’andamento degli indici azionari si è flesso ma non in modo significativo mentre l’euro si è svalutato rispetto al dollaro; reazioni complessivamente assai misurate. La spiegazione dell’atteggiamento del mercato è da rintracciarsi, nell’immediato, nel termine concesso dalla Corte Costituzionale tedesca alla BCE per motivare il proprio operato. È uno spazio temporale che assicura la prosecuzione dell’attività della BCE stessa per altri tre mesi, ancorché lo spread tra il nostro BTP ed il bund tedesco sia stabilmente più alto rispetto alla situazione ante crisi coronavirus.

Il problema costituito dalla sentenza della Corte Costituzionale tedesca rimane comunque centrale dato che, in sintesi, i mercati reputano che verrà trovata una soluzione politica che consentirà alla BCE di continuare ad operare, come sino ad oggi ha fatto a partire dal famoso discorso whatever it takes di Draghi; un ulteriore elemento di apparente tranquillità è dato dal fatto che la sentenza, quanto meno formalmente, non riguarda il nuovo programma PEPP, varato per contrastare la crisi cagionata dal coronavirus.

Si tratta di assunzioni che speriamo trovino conforto nella realtà dei fatti in tempi brevi; in caso contrario è facile prevedere che la reazione dei mercati sarà estremamente negativa.

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Ricercatore senior del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Economia, ha lavorato per oltre venti anni presso una grande banca italiana ed attualmente svolge la propria attività quale direttore generale presso un investitore istituzionale.