di Luca Marcolivio
L’Italia è fanalino di coda anche nella riapertura delle scuole. Se si prendono in considerazione i provvedimenti presi nei principali paesi europei, le differenze balzano agli occhi e sono notevoli. Il nostro Paese rimane l’unico che riprenderà le lezioni in presenza solamente a settembre, peraltro riservandosi la possibilità di un “sistema misto”, con metà degli studenti di ogni istituto a proseguire nella didattica a distanza (DAD).
In Francia, la riapertura delle scuole è avvenuta a partire dall’11 maggio ma differenziata a seconda della densità dei contagi nelle varie regioni. Le scuole dell’infanzia e primarie hanno ripreso per prime, adottando una didattica mista, con libera opzione tra la presenza fisica e il videocollegamento. Le medie hanno riaperto il 18 maggio mentre per le superiori si prosegue con la didattica a distanza, in attesa di una decisione ministeriale a fine maggio. Ad ogni livello, comunque, il numero massimo di studenti ammessi in ogni aula è di 15, con obbligo di distanziamento. Le mascherine sono obbligatorie per gli insegnanti e per gli alunni delle medie, sconsigliate per i più piccoli. Ha fatto un certo rumore, tuttavia, l’individuazione di 70 casi di Covid-19 subito dopo la riapertura in alcune scuole della Francia centro-occidentale, nei dipartimenti della Charente e della Dordogna. La fretta o – forse – la malizia avevano portato RTL France a twittare la fake news sulla chiusura di “70 scuole” per recrudescenza della pandemia: tutti gli istituti dove si sono verificati i nuovi contagi hanno effettivamente richiuso ma il loro numero è di gran lunga inferiore a 70…
All’insegna della flessibilità è il metodo adottato per le scuole del Regno Unito dove, dal 23 marzo, la presenza in classe è consentita solamente agli alunni i cui genitori svolgono mestieri non praticabili in modalità smart (sanità e forze dell’ordine in primis). Resta ancora da confermare la possibilità di una riapertura il 1° giugno, che consentirebbe così agli studenti britannici di seguire le lezioni in presenza durante l’ultimo mese dell’anno scolastico.
In Germania, la gestione scolastica è interamente demandata ai Land, i quali hanno comunque deciso di chiudere tutti dallo scorso 16 marzo. In Sassonia e in Brandeburgo sono stati allestiti centri diurni per i figli di lavoratori non in smart working. Le riaperture sono avvenute con gradualità a partire dall’Assia e da Berlino, che hanno ripreso per prime lo scorso 27 aprile, con distanziamento e turnazioni. A differenza della Francia, in Germania la priorità nel rientro non viene data ai più piccoli ma a coloro che devono sostenere esami.
Anche in Spagna la gestione degli istituti scolastici spetta agli enti locali. Le comunidades hanno pertanto chiuso in blocco le scuole il 12 marzo, dietro raccomandazione informale del premier Pedro Sanchez, ad eccezione di Madrid e la Rioja, che già lo avevano fatto in precedenza. A partire dalla fase 2, alcune scuole hanno riaperto per i figli dei lavoratori e per consentire gli esami di maturità o di ammissione all’università.
In Olanda, le riaperture sono avvenute a partire dall’11 maggio, con obbligo di distanza di un metro e mezzo e dimezzamento delle presenze nelle aule. Maggiore tolleranza è concessa ai bambini più piccoli: fino ai 12 anni è nuovamente consentito praticare sport di squadra ma, dai 12 ai 18 anni, negli allenamenti, c’è l’obbligo del metro e mezzo di distanza.
Scuole dell’infanzia e primarie sono aperte in Danimarca già dal 15 aprile, con tetto massimo di 11 alunni per aula, distanza di due metri, mani da lavare ogni due ore e utilizzo di ingressi differenziati per ridurre gli assembramenti. Per favorire il distanziamento, le scuole danesi allestiscono le lezioni in cortile, in palestra, in corridoio e persino in bagno. Le ricreazioni sono scaglionate.
I due paesi con le regole più blande sono comunque l’Islanda, isola con pochissimi contagi, dove le scuole non hanno mai chiuso, e la Svezia, dove hanno chiuso solamente le superiori e per un tempo più breve che nel resto d’Europa.
L’approccio all’insegna della massima “flessibilità” adottato dalla maggior parte dei ministeri educativi europei stride fortemente con il prolungamento del lockdown scolastico, caldeggiato dal nostro ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca, Lucia Azzolina. Quest’ultima sembra davvero essere la capofila dei ‘tecnoentusiasti’ e – un po’ orwellianamente – ha salutato la DAD come una “didattica della vicinanza”, trattandosi, a suo avviso, di un “ausilio” e un “supporto”, per tutti quegli alunni che rischiavano di rimanere “soli, anche psicologicamente”. La realtà dei fatti, tuttavia, è ben meno rosea di come la dipinge il Ministro. La didattica a distanza, imposta da un giorno all’altro come una necessità imprescindibile, ha determinato un quantitativo di stress ulteriore per milioni di studenti, insegnanti e genitori, totalmente impreparati a tale innovazione. Per molte famiglie, l’acquisto di tablet e di altri strumenti informatici per lo svolgimento delle videolezioni ha comportato un sacrificio economico non trascurabile. Per non parlare dei disagi dei genitori tornati al lavoro, mentre i figli sono costretti a casa per adempiere alla DAD.
Che dire, infine, delle ripercussioni psicologiche della nuova situazione? Numerosi psicoterapeuti e psicologi dell’età evolutiva hanno già lanciato l’allarme. Secondo Paolo Crepet, la DAD, privando gli studenti della comunicazione sensoriale e della possibilità di una vera socializzazione, determina in loro un “solipsismo casalingo” e li trasforma in “autistici digitali”. Altrettanto duro il giudizio di Luca Pisano, che ha deplorato la messa in campo di “strategie di risparmio economico” in ambito educativo. Secondo Tonino Cantelmi, infine, la “tecnomediazione” inibisce il contatto oculare, considerato “una delle condizioni fondamentali per l’incontro interumano”, e induce al “sovraccarico cognitivo”. Ma tutto questo la Azzolina (forse) non lo sa…
Saggista e giornalista professionista, è accreditato alla Sala Stampa della Santa Sede dal 2011. Direttore del webmagazine di informazione religiosa"Cristiani Today", collabora con "La Nuova Bussola Quotidiana"e"Pro Vita & Famiglia". Dal 2011 al 2017 è stato caporedattore dell’edizione italiana di "Zenit".
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