di Nicola De Felice
Il caso “Salvini – OPEN ARMS” riguarda l’accusa di sequestro di persona che è stata rivolta all’allora Ministro dell’Interno per aver negato, nell’agosto del 2019, alla nave ONG spagnola con migranti clandestini a bordo l’autorizzazione ad approdare in Italia, in quanto sosteneva – giustamente – che la competenza era della Spagna stessa (il primo passaggio illegale dei migranti è stato in territorio spagnolo in quanto la nave batte bandiera spagnola ed è sottoposta ad ordinamento giuridico spagnolo) o di Malta.
Analoghi casi sono quelli della nave della Guardia Costiera italiana DICIOTTI (processo negato dalla maggioranza gialloverde del Conte I) e di Nave GRECORETTI (il Senato, con la maggioranza PD-M5S, ha dato il consenso al processo contro Salvini). I soccorsi in mare operati dalle navi in parola per recuperare i “naufraghi a pagamento” si sono verificati nelle acque di ricerca e soccorso maltesi. Malta, in qualità di Stato Coordinatore ai sensi degli accordi definiti dall’ONU e ratificati dai Parlamenti maltese ed italiano, avrebbe dovuto indicare uno dei suoi porti quale POS (Place of Safety). L’intervento italiano, avvenuto su richiesta maltese, è stato ancora una volta una dimostrazione di grande solidarietà verso il piccolo Stato isolano. Ma una cosa è il POS ed un’altra cosa è il ricollocamento di migranti clandestini, previsto tra gli Stati membri dell’UE non solo in accordo con il principio di solidarietà e di mutua assistenza dettati dal Trattato di riforma dell’UE di Lisbona del 2009 (artt. 80 e 222), ma anche dallo stesso Regolamento di Dublino del 2013.
Lo sbarco in Italia dei migranti sofferenti e dei minori da quelle navi è stato un provvedimento in linea con le sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani, ma per i restanti passeggeri la stessa Corte ha più volte sentenziato la non necessità e la non urgenza di farli sbarcare in Italia, convalidando di fatto i provvedimenti dell’allora Ministro dell’Interno Salvini e la politica migratoria italiana del Governo Conte I. La Germania e la Francia non ci hanno mai fatto un favore nel sostenere – a parole – il ricollocamento di parte dei migranti illegali nei loro territori, ma si sono attenuti – giocoforza – a quando disposto dalle norme internazionali, in particolare al patto di mutua assistenza tra Stati membri dell’UE. Se la Francia e gli altri non avessero accettato la ricollocazione dei restanti migranti e non avessero rispettato i principi di solidarietà dettati dalle norme di Lisbona e di Dublino, che ricordo hanno valenza giuridica, l’Italia avrebbe avuto davanti a sé le seguenti opzioni, alcune delle quali applicabili contemporaneamente:
1. mantenere un profilo basso in Europa, accettando la posizione emarginata e supina di fronte alla politica migratoria franco-tedesca che individua nell’Italia l’unico punto di sbarco (posizione poi malauguratamente assunta);
2. al contrario, denunciare gli Stati membri UE “riottosi” alla Corte di Giustizia Europea per inadempienza alle norme concordate; la stessa Corte ha già più volte sancito l’obbligatorietà della mutua assistenza tra Stati membri (pacta sunt servanda);
3. sospendere l’adesione al Regolamento di Dublino (Rebus sic stantibus) secondo quanto previsto dalla Convenzione di Vienna sui trattati del 1969 (lo hanno già fatto la Francia ed altri membri UE);
4. ventilare l’ITALEXIT ricordando che la BREXIT non è stata solo una questione economica, ma anche e soprattutto di politica migratoria);
La verità è che la problematica del flusso incontrollato dei migranti clandestini va affrontata prendendo il toro per le corna – come da sempre e con ragione ho affermato – con un maggior impegno dell’UNHCR, dell’OIM e delle varie costole competenti dell’ONU in terra d’Africa (già presenti in Libia ed operanti efficacemente nell’accoglimento dei migranti clandestini in Libia in collaborazione con la Guardia Costiera libica, addestrata dalla Marina Militare italiana) – piuttosto che dai dorati uffici di Ginevra – in termini di solidarietà per le popolazioni in fuga e con strumenti organizzativi e finanziari validi – che certamente non gli mancano – e con il rafforzamento dei centri di raccolta, l’assunzione di responsabilità dell’avvio delle procedure di asilo politico in situ. L’UE deve avviare un’operazione a tutto campo, usando gli strumenti di potere in suo possesso (economico, diplomatico, militare, informativo e interno degli Stati membri) necessari per ristabilire la stabilità e sicurezza in Libia. La Marina Militare sta facendo molto con l’addestramento ed il supporto logistico della Marina e della Guardia Costiera libiche, come vari “media” hanno ammesso e come i dati dei salvataggi effettuati dimostrano.
Senior Fellow del Centro Studi Machiavelli. Ammiraglio di divisione (ris.), già comandante di cacciatorpediniere e fregate, ha svolto importanti incarichi diplomatici, finanziari, tecnici e strategici per gli Stati Maggiori della Difesa e della Marina Militare, sia in Patria sia all’estero, in mare e a terra, perseguendo l'applicazione di capacità tese a rendere efficace la politica di difesa e di sicurezza italiana.
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