di Giovanni Giacalone

La deriva dispotica di Erdogan non ha limiti e le notizie che arrivano dalla Turchia sono sempre più preoccupanti, al punto che non si può fare a meno di chiedersi per quale motivo quegli stessi ambiti politici, che tanto rumore fanno contro l’Egitto per la vicenda Regeni, siano totalmente silenti nei confronti di Erdogan, incluso parte dell’ambito mediatico italiano.

A inizio giugno tre membri dell’opposizione parlamentare, rispettivamente Enis Berberoglu del partito repubblicano CHP, Leyla Guven e Musa Farisogulları, entrambi del partito filo-curdo HDP, venivano arrestati con la solita accusa di “terrorismo”. Quest’ultimo in particolare venne già accusato nel 2017 di aver contribuito a far scoprire i rifornimenti di armi inviate dai turchi ai jihadisti in Siria.

A fine giugno, dopo una “marcia per la democrazia” che denunciava arresti e destituzioni di sindaci e deputati, i presidenti degli Ordini degli avvocati organizzavano una “marcia per la difesa” con l’obiettivo di protestare contro un progetto di riforma del loro statuto interno, che secondo i legali servirebbe a favorire l’elezione di membri filo-governativi e a indebolire quelli critici nei confronti del governo islamista Akp.

I primi di luglio Erdogan annunciava un inasprimento dei controlli sui social media, con la scusa di alcuni insulti pubblicati nei confronti di membri della sua famiglia. Del resto il presidente turco ha sempre temuto il potere di social come YouTube, Twitter e persino Netflix (in quanto “immorale”), definendoli come “il coltello di un assassino”.

Il 3 luglio era la volta di Amnesty International, con i suoi massimi vertici condannati, ovviamente, per “terrorismo”. Tra loro, il suo ex presidente Taner Kilic a 6 anni e 3 mesi e l’ex direttrice Idil Eser a 2 anni e un mese.

Sempre a inizio luglio, il Consiglio Supremo per Radio e TV ordinava la chiusura forzata per cinque giorni delle emittenti televisive Tele1 e Halk Tv, con minaccia di chiusura permanente. Il motivo? Avrebbero “osato” criticare il despota ottomano Sultan Abdulhamid II (1876-1909), molto amato dal presidente Erdogan. In realtà, le due emittenti televisive sono tra le poche voci critiche rimaste e l’esecutivo Akp ha tutto l’interesse a metterle a tacere, visto che il dissenso nei confronti di Erdogan è in crescita persino tra i suoi stessi sostenitori, come già esposto dall’analista Levent Gultekin.

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Se a ciò si aggiungono le aggressioni ad alleati Nato come Francia e Grecia, il trasferimento di mercenari e jihadisti in Libia e l’invio di armi in totale violazione dell’embargo, non si può non essere preoccupati sulla permanenza della Turchia nella Nato, ma anche sulle imbarazzanti alleanze italiane in Libia.

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Ricercatore del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Laureato in Sociologia (Università di Bologna), Master in “Islamic Studies” (Trinity Saint David University of Wales), specializzazione in “Terrorism and Counter-Terrorism” (International Counter-Terrorism Institute di Herzliya, Israele). È analista senior per il britannico Islamic Theology of Counter Terrorism-ITCT, l’Italian Team for Security, Terroristic Issues and Managing Emergencies (Università Cattolica di Milano) e il Kedisa-Center for International Strategic Analysis. Docente in ambito sicurezza per security manager, forze dell’ordine e corsi post-laurea, è stato coordinatore per l’Italia del progetto europeo Globsec “From criminals to terrorists and back” ed è co-fondatore di Sec-Ter- Security and Terrorism Observation and Analysis Group.