di Luca Marcolivio

Il risultato non era per nulla scontato ma alla fine Andrzej Duda è diventato il candidato polacco più votato della storia. Domenica 12 luglio, quasi 10 milioni e mezzo di elettori hanno dato fiducia al presidente della Repubblica uscente, al termine di una campagna elettorale accesissima e dall’esito incerto fino all’ultimo. Mai elezioni in Polonia erano state così partecipate: l’affluenza alle urne è stata da record sia al primo (64,51%) sia al secondo turno (68,07%). Per Duda una vittoria sofferta e di misura (51% contro il 49% dello sfidante Rafal Trzaskowski) ma non per questo meno prestigiosa. Il presidente conservatore e sovranista ha dovuto passare il guado della pandemia, della crisi economica – che normalmente penalizza i candidati uscenti – e di una guerra mediatica senza precedenti. Se è vero che il governo polacco ha saldamente il controllo della TV di stato, è altrettanto vero che la quasi totalità della stampa è in mano a gruppi editoriali stranieri – tedeschi in particolare – che hanno sostenuto alacremente e senza esitazioni il liberale europeista Trzaskowski, sindaco di Varsavia.

Un ulteriore grattacapo per Duda è stata la spaccatura dell’elettorato cattolico, di cui una minoranza aveva espresso la sua preferenza per il centrista indipendente Szymon Hołownia, che al primo turno aveva ottenuto il 13,7% dei voti, a fronte del 43,5% del presidente uscente e del 30,46% di Trzaskowski. Hołownia è stato il vero ago della bilancia, facendosi portavoce di un elettorato catto-progressista, dichiaratamente alternativo al populismo di Duda. Al punto che, al secondo turno, Hołownia non ha avuto esitazioni nel fare l’endorsement a Trzaskowski. Quest’ultimo si è imposto come il candidato della modernizzazione, del ceto imprenditoriale globalista e dell’elettorato urbano più giovane e secolarizzato. Piattaforma Civica, il partito di appartenenza del sindaco di Varsavia, ha già governato dal 2007 al 2015 con l’attuale presidente del Partito Popolare Europeo, Donald Tusk, contraddistinguendosi per politiche piuttosto anticlericali (si pensi ai tentativi di censura ai danni di “Radio Maria”). Trzaskowski è andato oltre, dichiarandosi favorevole ai matrimoni omosessuali, in totale contrapposizione con Giustizia & Libertà (PiS), il partito di Duda, che vorrebbe introdurre nella Costituzione la definizione di genitorialità come prerogativa esclusiva delle coppie eterosessuali.

Assieme al premier ungherese Viktor Orban, Duda è uno dei leader politici europei che godono della peggiore stampa. Oltre che “omofobo”, si è guadagnato la fama di no-vax e persino di antisemita: un’accusa – quest’ultima – abbastanza inconsistente, vista la storia dell’Olocausto nazista, vissuta sulla pelle del popolo polacco, dove le comunità ebraiche erano piuttosto integrate. In più, la first lady polacca, Agata Kornhauser, è figlia di un noto intellettuale di religione ebraica.

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A fare da traino alla riconferma di Duda sono stati i successi del governo guidato da Mateusz Morawiecki, anch’egli del PiS, che è riuscito a contenere la disoccupazione anche all’indomani del lockdown: a maggio la percentuale degli occupati era scesa soltanto del -3%. Il vero asso nella manica della Destra polacca sono comunque le politiche familiari: ogni coppia riceve 110 euro mensili per ogni figlio, indipendentemente dal reddito, e 66 euro per ogni figlio a inizio anno scolastico (cifre apparentemente irrisorie ma va considerato che in Polonia il costo della vita è molto basso). Ulteriori misure sono previste per le madri con almeno quattro figli a carico e per i minori con disabilità. Grazie al programma 500Plus, il governo polacco è riuscito a tirare fuori dalla povertà migliaia di famiglie. Le politiche sociali praticate in Polonia (e anche nell’Ungheria di Orban) rappresentano un modello alternativo sia all’austerity liberista degli europeisti ortodossi, sia al vecchio assistenzialismo di marca socialdemocratica: poche tasse e aiuti di Stato concepiti essenzialmente come incentivi alla crescita demografica. Un modello particolarmente snobbato in Europa occidentale (con la parziale eccezione di Francia e Svezia) e più che mai in Italia.

I detrattori di Duda – più numerosi e agguerriti all’estero che non in Polonia – ne hanno accolto malissimo la rielezione e, a urne chiuse, hanno posto l’accento sulla spaccatura nel Paese. Al punto che persino Lech Walesa, l’eroe anticomunista, fondatore di Solidarnosc, sposando gli ideali europeisti, ha preso le distanze dal PiS, definendo gli attuali governanti “più bugiardi dei comunisti” di una volta. È vero, nemmeno la terra di San Giovanni Paolo II e della Madonna di Czestochowa è rimasta esente dalla secolarizzazione e dall’occidentalizzazione. Ciononostante la Polonia rimane un modello di resistenza e di risposta costruttiva all’omologazione euro-globalista. Uscito vittorioso da quarant’anni di spietata dittatura comunista, il popolo polacco difficilmente mostrerà particolari timori reverenziali verso le decadenti ideologie del XXI secolo.

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Saggista e giornalista professionista, è accreditato alla Sala Stampa della Santa Sede dal 2011. Direttore del webmagazine di informazione religiosa"Cristiani Today", collabora con "La Nuova Bussola Quotidiana"e"Pro Vita & Famiglia". Dal 2011 al 2017 è stato caporedattore dell’edizione italiana di "Zenit".