di Andrea Bandelli
Sembra risolversi con una soluzione di compromesso al ribasso ed al momento non priva di incognite ed incertezze per lo Stato italiano la questione della possibile revoca delle concessioni ad Autostrade per l’Italia (Aspi) (relative alla gestione di una parte consistente della rete autostradale italiana), detenuta in proprietà per l’88% da Atlantia, la società controllata dalla famiglia Benetton tramite la holding Sintonia.
L’accordo raggiunto tra Governo e Atlantia prevederebbe (il condizionale è d’obbligo in questo caso visto che non abbiamo ancora una formalizzazione definitiva da analizzare e su cui poter ragionare ed esprimere valutazioni) un percorso che si dovrebbe chiudere in sei mesi, al massimo un anno, e che avverrebbe in due fasi distinte: nella prima Cassa Depositi e Prestiti entrerebbe con il 51% in Aspi, portando la partecipazione della famiglia Benetton ad una percentuale intorno al 10% con cui non sarebbe possibile nominare componenti nel Cda; nella seconda ci sarebbe la quotazione in borsa di Aspi che dovrebbe portare a una società con un azionariato diffuso, in cui con una operazione di mercato potrebbero entrare nuovi soci, abbassando ulteriormente il peso della partecipazione della famiglia Benetton.
In tutto questo emergono alcune questioni assai rilevanti:
- la prima questione riguarda il prezzo a cui sarà effettuata l’operazione di sottoscrizione/acquisto quote di partecipazione da parte di Cassa Depositi e Prestiti, che ad oggi non sembra essere ancora conosciuto e che potrebbe essere anche estremamente oneroso e non proprio conveniente per le finanze pubbliche;
- la seconda questione riguarda il fatto che tutte le opere di manutenzione, che dovevano essere già state realizzate sulla infrastruttura in concessione e che ad oggi non risultano effettuate, saranno a carico del nuovo socio, cioè CDP, quindi dello Stato e quindi in sostanza dei contribuenti e dei risparmiatori italiani;
- la terza questione della quale non abbiamo ancora alcuna notizia certa, ma che incide fortemente su quello che sarà il futuro della gestione delle autostrade italiane, è la necessaria ed improcrastinabile modifica dei contratti di concessione, al fine di evitare situazioni come quella attuale, ed è su questo che si misurerà la reale volontà del Governo di porre rimedio all’eccessivo potere contrattuale dei concessionari;
- la quarta questione, anch’essa rilevante, riguarda la tutela dei piccoli risparmiatori azionisti di Atlantia che “subiscono” le forti oscillazioni delle quotazioni del titolo, come quelle degli ultimi giorni dovute alla situazione di estrema incertezza.
L’ingresso di Cassa Depositi e Prestiti nel capitale di Autostrade per l’Italia, se da una parte comporterà una sostanziale ancorché temporanea “nazionalizzazione”, non sarà certo a costo zero per lo Stato Italiano ma al contrario comporterà un impegno finanziario rilevante di risorse pubbliche (si parla di almeno quattro miliardi di euro) che in questa fase va attentamente valutato e sul quale ci sono molte perplessità. Il fatto che Atlantia, dopo che martedì non riusciva a far prezzo al ribasso ed era stata sospesa, l’altroieri segnasse un più 26,65% la dice lunga su chi ci guadagna e chi ci rimette da questo accordo.
Un aspetto non secondario, che ha senza dubbio grande rilevanza, è il fatto che una quota significativa di Aspi pari a circa il 7% sia di proprietà di Appia Investment, un fondo sottoscritto dal gruppo tedesco Allianz ed altri soci, mentre circa il 5% è di proprietà del Silk Road Fund, quest’ultimo un soggetto finanziario cinese organico alla Nuova Via della Seta, che rappresenta uno strumento globale di penetrazione economica della Cina in Europa e quindi anche in Italia. Vi è poi il palese interesse ad entrare nella partita delle autostrade italiane di alcuni grandi fondi d’investimento internazionali tra i quali BlackRock.
La possibilità di revoca, da parte dello Stato italiano, delle concessioni di gestione della rete autostradale in mano ad Atlantia preoccupava sia Berlino sia Pechino; tanto è vero che sia nel recente incontro tra il premier Conte e la cancelliera tedesca Merkel sia in quello altrettanto recente tra l’Ambasciatore italiano a Pechino ed i vertici del Silk Road Fund (anche loro come i soci di Appia Investment interessati alle infrastrutture italiane ed alle autostrade in primis), secondo molti osservatori, si sarebbe discusso pure del futuro della società che controlla le infrastrutture autostradali italiane.
Il futuro di Aspi sembra così condizionato, oltre che dalle decisioni risultanti dalla composizione delle diverse posizioni delle forze politiche che sostengono il Governo, anche dagli interessi di investitori esteri, principalmente tedeschi e cinesi, senza dimenticare i grandi fondi d’investimento americani nonché i francesi sempre presenti quando si tratta di acquisire asset industriali o infrastrutturali italiani. La probabilità che, una volta che lo Stato abbia assunto il controllo di Aspi, ne venga poi venduta una quota rilevante a soggetti esteri ed in particolare a società straniere, porrebbe un problema non da poco di perdita di sovranità nella gestione della rete autostradale nazionale.
Nonostante queste premesse e la debolezza dell’azione politica dovuta sia alla palese inadeguatezza di alcuni ministri dell’attuale Governo, sia alle evidenti divisioni tra le diverse forze politiche che lo sostengono, c’è da augurarsi che il Governo italiano, nelle varie fasi in cui l’accordo raggiunto con Atlantia troverà attuazione, agisca sempre tutelando l’interesse nazionale, senza dare alcuna possibilità a soggetti stranieri di prendere il controllo di una delle più importanti infrastrutture nazionali.
Viste le difficoltà finanziarie dovute alle conseguenze sul sistema economico sul debito e quindi sui conti pubblici italiani della pandemia globale, il nostro Paese appare più esposto di altri paesi europei alle mire della speculazione internazionale, per cui è necessario che tutte le forze politiche, soprattutto quelle dell’attuale opposizione, certamente più attente ai temi di tutela e valorizzazione delle eccellenze nazionali nei vari settori economici, mantengano alta l’attenzione per scongiurare predazioni del patrimonio pubblico ancorché privatizzato e difendano i nostri assets strategici nazionali da acquisizioni ostili; assets che in questa fase rappresentano una risorsa irrinunciabile per mantenere il PIL italiano a livelli sufficienti a garantirne, dopo il drammatico calo degli ultimi mesi, una pronta e solida crescita, condizione imprescindibile alla sostenibilità nel medio/lungo periodo del nostro debito pubblico.
Per il Centro Studi Machiavelli è responsabile del programma di ricerca su "Reshoring e rilocalizzazione d'impresa". Laureato in Economia (Università degli Studi di Firenze), Dottore Commercialista, Revisore legale e socio fondatore di uno Studio professionale specializzato in consulenza societaria e fiscalità nazionale ed internazionale.
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