di Francesco Giubilei
[Estratto da Conservare la natura. Perché l’ambiente è un tema caro alla destra e ai conservatori, Giubilei Regnani, 2020]
Nell’autunno 2019, di fianco alle casse delle più importanti librerie inglesi, spicca una pila con decine di copie di un tascabile con una copertina bianca su cui campeggia in maiuscolo il nome dell’autore: Greta Thunberg. No one is too small to make a difference, è una raccolta dei principali discorsi sull’ambiente che Greta Thunberg ha pronunciato in giro per l’Europa, alle Nazioni Unite, al World Economic Forum e al Parlamento inglese. La giovane attivista svedese sottolinea la gravità della situazione ambientale che stiamo vivendo in rapporto alle poche misure intraprese fino ad oggi per risolvere il problema, leggere le sue parole aiuta a comprendere meglio il carattere dell’ambientalismo di cui è bandiera.
Il discorso forse più significativo per cogliere il retroterra del suo pensiero, lo pronuncia il 31 ottobre 2018 a Londra nella Piazza del Parlamento e si intitola Almost Everything is Black and White. Non è un caso che venga pronunciato durante la “Dichiarazione di ribellione” dell’Extinction Rebellion. «Per me quasi tutto è nero o bianco», e aggiunge «non esiste una zona grigia, se le emissioni vanno fermate, allora dobbiamo stoppare le emissioni». L’espressione utilizzata è «must stop» e significa fermarle a qualsiasi costo, poco importa se ciò determina la perdita di posti di lavoro e il peggioramento delle condizioni di vita dei ceti più deboli a causa di una minore ricchezza.
Questa divisione del mondo in bianco e nero sintetizza una visione della società e dei problemi ambientali che non ammette dialogo o soluzioni di buonsenso: o sei contro i cambiamenti climatici e stai dalla nostra parte, oppure sei contro di noi. C’è una azienda che inquina ma dà lavoro a migliaia di persone? Per gli ambientalisti black and white la soluzione è chiuderla immediatamente, se restano senza lavoro migliaia di persone mettendo così in ginocchio intere famiglie, non importa. Un approccio conservatore all’ambiente si basa invece su scelte assennate a partire da una necessaria mediazione e dalla consapevolezza che sia necessaria una progressività nel cambiamento del sistema in vigore fino ad oggi, altrimenti il risultato sarà il caos sociale.
È a questo che si arriverebbe con tutta probabilità se si ascoltasse il monito di Greta Thunberg a una “disobbedienza civile”, per lei ormai necessaria. Un’immagine che fa venire in mente il pericolo di una deriva rivoluzionaria in senso giacobino e non c’è da stupirsi che il suo discorso termini con la frase «it is time to rebel». Come ogni rivoluzionario che non accetta il confronto, Greta Thunberg è per forza nel giusto e siede “dal giusto lato della storia” chiedendo a ogni altra persona di fare come lei. Un messaggio più simile al carattere dogmatico di una religione, piuttosto che a una battaglia per la salvaguardia dell’ambiente, ma su questo punto torneremo più avanti.
Nonostante non sia una scienziata e non abbia la benché minima formazione su argomenti tecnici, nei suoi interventi parla come se fosse in possesso della verità assoluta spiegando che la soluzione al cambiamento climatico è semplice e ribadendo, in un discorso al World Economic Forum nel gennaio 2019, la contrapposizione tra bianco e nero intesa come unica strada e bollando come bugiardo chi si oppone a questa visione del mondo.
Nello stesso discorso, partendo dal presupposto che nel mondo contemporaneo si parla troppo di denaro, si attacca anche il concetto di “crescita” testimoniando una pulsione contraria alla crescita economica, così dobbiamo «cambiare tutto nelle nostre attuali società».
Che cosa intende Greta con «everything»? Stiamo sempre parlando dell’ambiente oppure la sua visione si è allargata a tutta la società? «Cambiare tutto» è un messaggio senza dubbio rivoluzionario ma al tempo stesso tipico del pensiero progressista ed è lecito un dubbio: non è che dietro la lotta al cambiamento climatico si nasconde un progetto più ampio di cancellazione dei valori, dell’identità nazionale e della civiltà occidentale per favorire una visione globalista e una società liberal? D’altro canto, il mezzo utilizzato per la protesta è lo sciopero e, in particolare, lo sciopero scolastico. Tra la possibilità di educare i giovani nelle aule scolastiche sui problemi ambientali facendo sì che diventino cittadini consapevoli e la scelta di scendere in piazza a protestare marinando la scuola, la decisione cade sulla seconda opzione. Perciò, «fare i nostri compiti» per Greta Thunberg non significa andare a scuola, istruirsi, studiare, leggere e informarsi per capire e comprendere il mondo che ci circonda e sviluppare una forte consapevolezza, quanto manifestare nelle strade perché oggi i bambini «devono sacrificare la loro educazione per protestare contro la distruzione del loro futuro».
Ma scioperare non è sufficiente. Sempre a suo giudizio, è necessaria una «totale nuova via di pensiero» dato che l’attuale sistema politico è «tutto basato sulla competizione» e perciò «dobbiamo smettere di competere l’uno con l’altro».
La competizione è alla base di ogni società che cresce e si sviluppa, è la linfa dell’economia ma è anche l’elemento su cui si struttura una società meritocratica che, nascendo dal presupposto di un comune punto di partenza per tutti, premia, proprio in virtù della competizione che si sviluppa, i più meritevoli e preparati. L’importanza della competizione per l’ascesa di una civiltà è spiegata da Niall Ferguson nel suo libro Occidente. Ascesa e crisi di una società, il suo contrario è una società fondata sull’egualitarismo e perciò l’appiattimento delle differenze.
Ma il pensiero di Greta Thunberg è intriso della mentalità rivoluzionaria: «I want you to panic. I want you to act as if your house was on fire». Nei suoi discorsi non si rivolge solo ai cittadini ma anche alla politica ammonendo gli attuali politici, colpevoli di dedicare tutto il loro tempo a discutere «delle tasse o della Brexit». Alla politica contemporanea si possono muovere critiche di ogni genere, e non mancano gli elementi per attaccare alcuni politici, ma criticarli perché discutono della Brexit o il tema delle tasse, è quantomeno paradossale. A cosa dovrebbero dedicare il proprio tempo se non a cercare di risolvere i problemi dei loro cittadini? L’inquinamento rappresenta senza dubbio un tema importante, ma non lo sono altrettanto la Brexit o l’elevata pressione fiscale che stritola aziende e privati? Per quale motivo discutere di una cosa esclude l’altra?
Per risolvere i problemi dell’ambiente, secondo Greta Thunberg, è necessario agire in modo collettivo poiché «together we are making a difference», occorre però chiedersi qual è la sua concezione di agire collettivo. Le piazze Fridays for future, così come l’intera battaglia ambientalista, sono costituite non tanto da una comunità di persone intese come singoli individui con le proprie caratteristiche e peculiarità, quanto da una massa omologata priva di identità ma anzi favorevole a eliminare le singole identità che caratterizzano le comunità.
Editore e saggista, è presidente di Nazione Futura e della Fondazione Tatarella. Laureato in Cultura e storia (Università di Milano), è professore a contratto di Autoimprenditorialità giovanile all'Università Giustino Fortunato di Benevento.
E’ una bandiera rossa che presto vedremo a capo dei verdi in Svezia, e presto dioverrà famosa per essere ‘il primo tirano donna’, o così diranno le femministe radicali.
Perché in realtà ce ne sono state altre, in passato.