di Vincenzo Pacifici

In occasione della tradizionale cerimonia della consegna del “Ventaglio”, il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, troppo a lungo e del tutto inspiegabilmente rimasta in silenzio, ha impartito una lezione di verità costituzionale-istituzionale memorabile e paradigmatica.

Dopo i rituali, formali saluti, assai brevi e sintetici, l’avvocato rodigino è entrata con rapidità nel vivo, sottolineando il bisogno urgente “di interventi fiscali, finanziari ed economici importanti”, “di mettere soldi in tasca agli italiani [a tutti e non a determinate categorie sociali] e principalmente, senza equivoci e senza fraintendimenti demagogici”, “di lavoro, lavoro, lavoro, non di misure assistenziali o di legislazione dell’emergenza”.

Sottolineato il coraggio dimostrato dalle donne “nelle fasi più gravi dell’emergenza”, ha sottolineato, tra l’altro, che al mondo dell’impresa occorre una “una legislazione […] che rimetta in modo la produttività”.

Sulla scuola e non poteva essere altrimenti, l’analisi è divenuta franca e severa. Essa “è il luogo della formazione umana e sociale dei ragazzi”. La scuola reale richiede, anzi esige “aule, relazioni, interazione, confronto e dialogo tra studenti e docenti”. La scuola – ha ribadito in termini non davvero superflui – “deve essere una priorità, così come la ricerca deve diventare protagonista delle nostre politiche di sviluppo”.

Non potevano essere omessi l’incoraggiamento e lo stimolo a far “veramente ripartire la cultura” che, con il suo patrimonio di tesori paesaggistici, architettonici, artistici e storici “darebbe una spinta eccezionale alla nostra economia”.

Cruciale quanto determinato è il passaggio in cui ha richiamato Conte, censurandolo implicitamente ma in modo inequivocabile delle norme essenziali, delle Camere “centro dell’azione legislativa” e del Parlamento “interlocutore primo e insostituibile del Governo”. Osserva di aver rilanciato “una questione di metodo democratico su cui pesa, certamente, l’avere gestito tutte le fase dell’emergenza con un ricorso esagerato al DPCM, emanati senza preventiva e dovuta consultazione con un voto del Parlamento [rimprovero indelebile, sul quale le sfere eminenti dello Stati si sono ben guardate dall’intervenire].

L’accantonamento del Senato e “il ricorso troppo frequente al voto di fiducia” hanno fatto cadere “la democrazia parlamentare, e cioè l’equilibrio della sovranità popolare, di cui sono garanti entrambi le Camere e la responsabilità dell’azione di governo”.

La Alberti si è fatta legittimamente intransigente e severa nel momento in cui è tornata a sottolineare, in nome dei sentimenti democratici più limpidi e quindi più autentici, che “spetta solo al Parlamento offrire al Governo linee di indirizzo vincolanti per ricostruire il Paese”.

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Laureato in Giurisprudenza e in Lettere, è stato fino al 2015 Professore ordinario di Storia contemporanea presso l'Università Sapienza di Roma. Ha pubblicato, tra l'altro, volumi su Crispi, sul problema dell'astensionismo e dell'assenteismo nelle consultazioni politiche del periodo unitario, sui consigli provinciali all'inizio del XIX secolo, sulle leggi elettorali del 1921 e del 1925. È presidente della Società tiburtina di storia e d'arte.

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