di Nicola De Felice e Pier Luca Toffano
Come definire se non razzista l’idea di rinchiudere i clandestini in traghetti in modo che si contagino solo tra loro? Come definire se non razzista l’idea di poter spogliare un continente come l’Africa dei suoi migliori giovani con la certezza di renderli schiavi degli interessi economici della criminalità organizzata? Come definire se non razzista l’idea di dover cercare accordi con gli Stati di transito di schiavi anziché con quelli di origine dei clandestini? Come definire se non razzista l’idea che si possano respingere per ragioni sanitarie i cittadini americani mentre ciò sarebbe immorale per i clandestini africani o bengalesi?
Forse è giunto il momento di tentare nuove vie per far cessare il mercato della tratta degli esseri umani del XXI secolo e tutto il suo macabro corredo di navi negriere, favelas da terzo mondo, campi di pomodori come quelli di cotone di “Via col Vento”, prostituzione, spaccio di droga e di armi, degrado sociale, stupri e violenze varie. Basta trattare con gli Stati trafficanti. Per questi è troppo facile chiudere ed aprire alle partenze ricattandoci con continue richieste di aiuti e assistenza militare. A questi governi va disconosciuta qualsiasi legittimità. Occorre attivare accordi bilaterali con i gli Stati africani ed asiatici di origine dei clandestini con lo scopo di rinviare i rimpatri verso di loro e non trattare più con i mediatori di schiavi. Non accogliere i propri cittadini respinti sarà difficile da spiegare all’opinione pubblica locale e mondiale, ai loro parenti.
Forse è solo una nostra riflessione, ma inviterei tutti a dirci la propria: stiamo sbagliando nel cercare soluzione al problema libico. Tutti ci si buttano a pesce: russi, francesi, turchi, egiziani, qatarioti ed emiratini, angloamericani. Sarà anche il petrolio, ma cominciamo ad intravedere che il lucroso mercato degli schiavi abbia un livello parallelo di interessi più inquietante. Azzardiamo questa visione perché ben spiegherebbe gli ingenti investimenti sulle navi negriere ONG che rappresentano, assieme a campi libici (finanziati dall’Italia e dalla UE) ed alle organizzazioni criminali che organizzano la domanda e l’offerta, i tre elementi sui quali poggia il nuovo mercato dei dominati, il nuovo ordine mondiale. Vi è indubbiamente una visione totalitaria di ambigui ricchissimi filantropi che, senza le braccia degli schiavi, l’agricoltura europea ed il mercato del lavoro in generale non sarebbe sostenibile. Lo stesso ragionamento vale, con attori diversi, per spaccio e prostituzione. I rapporti con i libici vanno semplicemente stravolti, peraltro loro sono l’ultima ruota del macchinoso e criminale carro con cui dall’Africa subsahariana e dal Corno d’Africa organizzazioni ben più strutturate e regolate muovono il business schiavista del XXI secolo. Una volta rotto con i libici potremmo essere durissimi con loro e con le navi che da lì raccolgono i “naufraghi a pagamento”. Non dovrà però essere una iniziativa solitaria. I nostri veri potenziali alleati sono i Paesi di origine. Un lavoro diplomatico che potrà alla lunga tornare utile alle nostre imprese. I libici vanno insomma “aggirati” con manovra a tenaglia. Le medie potenze concorrenti e le organizzazioni del nuovo ordine mondiale si ritroveranno come pesci fuor d’acqua.
Senior Fellow del Centro Studi Machiavelli. Ammiraglio di divisione (ris.), già comandante di cacciatorpediniere e fregate, ha svolto importanti incarichi diplomatici, finanziari, tecnici e strategici per gli Stati Maggiori della Difesa e della Marina Militare, sia in Patria sia all’estero, in mare e a terra, perseguendo l'applicazione di capacità tese a rendere efficace la politica di difesa e di sicurezza italiana.
Laureato in Economia Aziendale, ha lavorato presso imprese multinazionali francesi ed americane nel settore dei servizi. Oggi insegna Diritto ed Economia Politica presso le scuole statali superiori.
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