di Davide Lanfranco

Il tredici agosto Donald Trump ha annunciato a sorpresa (fino ad certo punto sorpresa, perché la trattativa era in corso da tempo) l’imminente accordo di pace tra Israele ed Emirati Arabi; in realtà si tratta dell’inizio (ufficiale, perché ufficiosamente rapporti tra i due Stati già c’erano) delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Un fatto di rilevanza storica, perché lo Stato degli E.A.U. è il primo paese del Golfo Persico a riconoscere ufficialmente Israele ed allacciare con gli eredi di Ben Gurion rapporti diplomatici. L’accordo è stato confermato sia dal premier Benjamin Netanyahu che da Mohammed Bin Zayed, il principe ereditario e ministro della Difesa di Abu Dhabi.

Incredibilmente rispetto alla portata del fatto, la copertura mediatica da parte dei mezzi di comunicazione in Italia è stata modesta; forse in questo caso ha influito la “poca” simpatia” che riscuote Trump (la Casa Bianca è stato il mediatore tra le parti) tra politici e giornalisti nostrani.

Intendiamoci: non si tratta dell’avvenuta “pace in Medio-Oriente” o della fine del “conflitto arabo-israeliano”. Solo nei romanzi d’appendice o nelle ricostruzioni degli analisti da talk show un conflitto secolare può risolversi con una firma ed una stretta di mano. Ovviamente il conflitto tra il mondo arabo e gli israeliani prosegue. Ci saranno ancora per anni violenze, scontri e purtroppo morti in quel pezzo di Mondo. Però è stato posto un tassello importante, cui è possibile ne seguano altri. Forse nei prossimi anni altri Paesi arabi della stessa area, il Golfo Persico, si sentiranno incoraggiati a fare altrettanto con Tel Aviv ( al di fuori del Golfo Persico, Egitto e Giordania hanno un accordo già operativo simile con Israele).

Nel trattato stipulato, Israele ed Emirati Arabi non diventano di certo alleati, ma si “riconoscono” ufficialmente e lo dicono ai loro popoli; Netanyahu si è anche impegnato a “sospendere” qualsiasi dichiarazione di sovranità sui Territori Palestinesi. Qualcuno potrebbe obiettare che “sospendere” invece che “rinunciare” a qualcosa come base di un accordo è quasi nulla. In realtà può essere tutto, perché la politica richiede tempi e liturgie non correlate alla cronaca giornaliera. Nella storia dei conflitti civili o di lunga durata, una “sospensione” o un “armistizio” è stato alla base di svolte importantissime poi maturate nel tempo.

Caso di scuola è quello dell’Accordo del Venerdì Santo stipulato il 10 aprile 1998 a Belfast tra il governo britannico ed i partiti nordirlandesi. L’11 Aprile del 1998 mica è scoppiata la pace tra protestanti e cattolici nell’Ulster. Non ci sono certo state scene di abbracci e baci a Belfast lungo i muri delle Peace Lines come alla Porta di Brandeburgo dieci anni prima tra berlinesi dell’Est e dell’Ovest. Ci sono stati, invece, molti mugugni e musi lunghi. Ancora oggi la realtà nordirlandese non è certo pacificata. Alcuni gruppi para-militari unionisti e repubblicani sono attivi ed il rischio di recrudescenze è sempre possibile. Del resto non cancelli in pochi giorni anni di violenze ed odio. Però l’accordo, ad oggi, sembra, sostanzialmente, ancora reggere. Nel frattempo passano gli anni e cambiano le generazioni. L’odio ed i sospetti reciproci mutano (un conto aver vissuto in prima persona una guerra civile, un conto che te la raccontino i nonni). Si capisce che si può convivere, anche evitando di inseguire la favoletta che gira ancora tra di noi sulla fine del fascismo e l’avvento della Repubblica (la memoria condivisa).

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Questo può avvenire perché, se escludiamo violenti psicopatici, generali paranoici, speculatori da mercato nero e trafficanti d’armi, la maggioranza delle persone preferisce la pace alla guerra. Preferisce avere una casa sopra la testa, piuttosto che vedersela buttare giù da una bomba. I ragazzi preferiscono baciarsi e ballare assembrati (pure con Covid!) piuttosto che cercare la bella morte in battaglia o fare i martiri kamikaze (tranne gli imbecilli o i disadattati). Se tu quindi sospendi uno scontro o un conflitto, dai il tempo alle persone di abituarsi e godere della pace e della cooperazione. Una volta provata la pace, raramente le persone tornano indietro o seguono le sirene dei “cattivi maestri”.

Certo, per operare così, bisogna avere visione e coraggio di scelte di cui non si godrà vantaggio elettorale immediato. Bisogna operare da statisti.

Laureato in Sociologia (Università La Sapienza di Roma) con Master in Economia e Finanza degli Intermediari Finanziari (Università LUISS). Da vent’anni lavora per lo Stato Italiano nel settore delle Forze di Polizia.