di Trader

Tra la miriade di previsioni catastrofiste riguardanti la presidenza Trump, l’ambito di politica estera spicca per l’abbondanza di articoli di esperti pronti a denunciarne la presunta inqualificabile incompetenza. A pochi mesi dalla fine del primo mandato, lista dei risultati alla mano, Trump si presenta invece come il presidente americano di maggior successo dai tempi di Ronald Reagan:

  • la prima visita di un capo di Stato nordcoreano in Corea del Sud, tanto che lo stesso Primo Ministro sudcoreano, Moon Jae-in, sostenne che Trump meritasse un Premio Nobel della Pace per gli obbiettivi raggiunti;
  • una normalizzazione delle relazioni tra Kosovo e Serbia, terreno delicatissimo, specialmente se si considera l’intervento militare NATO guidato dalla Presidenza Clinton negli anni ’90;
  • la normalizzazione delle relazioni tra due paesi arabi, Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, ed Israele, con la potenziale estensione ad altri paesi del mondo arabo. Il conflitto ‘’irrisolvibile’’ per eccellenza;
  • l’aver correttamente individuato nella Cina la minaccia principale al mondo libero, prima ancora che essa infettasse il mondo con il coronavirus, costringendo tutti ad una serie di privazioni di libertà personali;
  • infine, in un raro caso su cui l’opinione pubblica americana risulta concorde, il non aver iniziato alcuna guerra ‘’inutile’’ a differenza dei suoi predecessori.

A controprova dell’efficacia di Trump, basta guardare a chi, con alle spalle decenni di studi, ne aveva criticato l’orientamento. Lawrence Summers, ex Segretario del Tesoro americano in quota democratica e Preside di Harvard, definì “trogloditi” coloro che si opponevano all’idea di trasferire il manufatturiero occidentale in Cina. John Kerry, ex candidato presidenziale democratico ed ex Segretario di Stato sotto Obama, passerà alla storia per aver definito “impossibili” accordi bilaterali tra Stati nella questione arabo-israeliana.

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Lo stesso Obama può contare un notevole zero nel conto degli Stati che, a seguito della Primavera Araba, sono divenuti ‘’liberal-democrazie’’. In Siria, la coalizione da lui guidata, con Francia, Qatar, Turchia e Arabia Saudita, è uscita sconfitta dal blocco Russia-Iran-Assad. In Ucraina, il popolo ucraino alla prima occasione ha votato chiunque (il comico Zelensky, con zero esperienza politica) pur di sbarazzarsi dell’eroe di Maidan, l’europeista Poroshenko.

I fatti danno ragione a Trump e torto a chi, con arroganza, compiacenza e miopia scambiata per lungimiranza, ha lavorato per la creazione di un ordine sovranazionale di regole, volte a limitare la sovranità degli Stati, e per tre decenni ha gestito il lento declino del mondo occidentale.

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