di Francesco Carlesi
Nell’epoca della globalizzazione, dell’individualismo sfrenato, del progressismo globalista che va a braccetto con la finanza, c’è ancora spazio per concetti come Patria e lavoro? L’Istituto «Stato e Partecipazione» nasce nella profonda convinzione che sì, anche in un’epoca “moderna” come la nostra, le migliori armi dell’uomo siano riposte nell’identità, nella responsabilità contro l’ipertrofia dei diritti, nell’amore per la propria comunità e per la Nazione intesa come entità che abbraccia sia le generazioni passate che quelle future. Il lavoro deve essere inteso quale perfezionamento dell’uomo e del suo territorio in ottica di un’impresa comune sintetizzata dallo Stato. Quest’ultimo, riposto troppo frettolosamente nel cassetto da politologi ed esperti, è ancora protagonista sulla scena internazionale. Solo all’interno dei suoi confini si può concepire una storia, una strategia e diritti che siano concreti. Riportare lo Stato al ruolo di motore di sviluppo e alla dignità che gli compete è una delle missioni principali per affrontare le sfide che ci attendono.
Ecco allora che partendo da Mazzini e dalle pagine migliori del Risorgimento, l’Istituto «Stato e Partecipazione» vuole riannodare i fili di una lunga storia che ha fatto dell’associazionismo, della centralità del lavoro e dello spirito comunitario la sua stella polare. Rimanendo solo al ‘900 italiano, il sindacalismo rivoluzionario («il lavoratore si difende difendendo la Patria») di Corridoni, Panunzio e De Ambris, la Carta del Carnaro, il corporativismo, la socializzazione, la “terza via italiana”, la dottrina sociale della Chiesa, fino a uomini “ponte” tra due epoche come Mortati, Fanfani e Vito, furono i primi esempi significativi. Nel dopoguerra, l’affascinante progetto di collaborazione capitale-lavoro in armonia con la natura e la cultura di Olivetti, la proiezione sociale e internazionale dell’Eni di Mattei, insieme al sistema misto guidato dall’Iri, si rivelarono i segreti della rinascita italiana, e nei loro momenti migliori restano un esempio raramente eguagliato. Attualizzare e rinnovare tutto questo, insieme agli spunti più raffinati della Cisnal e dell’Istituto di Studi Corporativi, è una dei compiti che dovrebbe riunire gli ambienti patriottici e non conformisti, spesso dei veri vulcani di idee, al di là delle etichette.
Verso una rivoluzione culturale
L’Istituto vuole dunque promuovere: originali e accurati studi storici (mirati in particolare ai temi sopra ricordati); l’osservazione attenta dei casi esteri, come la mitbestimmung tedesca o alcuni spunti provenienti dall’Unione Europea; confronti e dibattiti sui temi cruciali dell’attualità economico-sociale; la massima apertura e il dialogo con tutte le parti politiche e intellettuali, dalla sinistra fino ai massimi esponenti del pensiero conservatore, a maggior ragione in un’epoca in cui i vecchi schemi politici raccontano sempre meno la realtà delle posizioni in campo. L’obiettivo è una crescita culturale costante mirante ad attrarre a sé le migliori forze interessate ai temi sociali e a stimolare riflessioni del più ampio respiro possibile, in un’ottica multidisciplinare e capace di ispirare le decisioni politiche locali e nazionali. Economia, diritto, sociologia, arte, geopolitica: più si sale di livello, più le differenze tra ambiti scientifici tendono a sfumare.
Per rendere concreto il cambiamento si deve progettare l’attuazione della Costituzione economica (dalla disciplina pubblica del credito alla collaborazione dei lavoratori alla gestione delle imprese); la valorizzazione del settore primario, del territorio, delle Pmi e di un mondo del credito rinnovato nei mezzi e nei fini; il primato degli interessi nazionali in tutti i settori strategici; la creazione di una nuova rappresentanza che ponga alla base del sistema la competenza, la programmazione di lungo periodo e soprattutto l’idea di uomo sociale, colui che considera i beni economici, insieme con la scienza e la tecnica, strumenti per il miglioramento della società in cui vive ed opera e per il perfezionamento morale suo, in società con i suoi simili. In una parola: la Partecipazione. L’elaborazione di soluzioni sempre nuove alle drammatiche crisi (demografiche, sanitarie, economiche e sociali) dei nostri tempi, lo studio minuzioso e specialistico dei più importanti temi giuridici ed economici, l’apertura a ogni lettura e a ogni confronto saranno le armi culturali da impugnare per vincere le battaglie che le dinamiche della globalizzazione e della tecnica ci pongono di fronte.
La volontà e la necessità sono quelle di fornire idee a una classe dirigente che troppo spesso, da anni, non va oltre la prossima tornata elettorale o gli umori dell’opinione pubblica e dei social, dentro uno schema prestabilito e mortificante. Ogni ricerca e proposta in questo senso deve abbracciare quanti più campi e interessi possibili: “non è un buon economista chi è solo economista”, scrisse Gaetano Rasi. Il quale aggiunse: “la scienza quando è priva di una forte convinzione etica e di un impegno civile, non è vero progresso e non contribuisce al perfezionamento dell’uomo”. Non esiste scienza o economia apolitica, riaffermiamo dunque con orgoglio un nuovo «umanesimo del lavoro» che accetti le sfide della modernità.
Francesco Carlesi è presidente dell’Istituto «Stato e Partecipazione». Cultore della materia in Storia Contemporanea (Unint) e dottore di ricerca in Studi Politici (La Sapienza). Ha scritto per le riviste scientifiche «Nuova Rivista Storica», «Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale» e «Il Pensiero Storico», oltre a numerose altre di approfondimento storico-politico come «Nazione Futura». Ha scritto i libri Rivoluzione Sociale (2015), Craxi, l’ultimo statista italiano (2016), La Terza Via Italiana (2018).
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