di Daniele Scalea
Il referendum costituzionale ha dunque premiato il Sì, che si afferma sfiorando il 70%. Il nostro Centro Studi si era schierato per il No, ma il risultato è netto e indiscutibile: il Sì ha vinto con ampio margine ovunque in Italia (all’Estero addirittura è arrivato al 78%). In alcuni dei territori che, allo stato attuale, perderanno proporzionalmente più rappresentanza (vedi la Sicilia Occidentale, la Basilicata, il Molise o le province laziali diverse da Roma), il voto per il Sì è stato sopra la media nazionale. Il fatto che i più svantaggiati dalla riforma ne siano tra i più entusiasti sostenitori dimostra che alla maggioranza dei cittadini italiani non interessa essere adeguatamente rappresentati in Parlamento, o quanto meno ciò passa in secondo piano rispetto all’imperativo di fare un dispetto al ceto politico. Quest’ultima infatti, e non certo un risibile risparmio monetario, appare la reale motivazione popolare dietro al voto.
L’intento di chi il taglio dei parlamentari l’ha invece promosso è, a nostro avviso, differente. Che ne siano consci o meno, Di Maio e gli altri del M5S portano avanti un’agenda tecnocratica, che nella delegittimazione della democrazia rappresentativa e nell’indebolimento del parlamento riconosce mezzi per soffocare la sovranità popolare a tutto vantaggio di un establishment oligarchico. Che riescano a far avanzare quest’agenda in nome di malinteso “populismo” e con un plebiscito, testimonia solo della grande abilità strategica e comunicativa di quest’élite. Al contrario, hanno pesantemente peccato quelle forze politiche che, pur ergendosi a difensori della sovranità popolare, hanno indicato di votare per il Sì. Un 30% di cittadini, senza nessun partito a dare indicazioni, si è recato alle urne per dire No: lo spazio per rendere più competitivo questo referendum ci sarebbe stato. Si avrà un’importante prova di maturità quando i leader della Destra, anziché adeguarsi all’opinione prevalente nei sondaggi, saranno disposti a intestarsi battaglie (inizialmente) impopolari pur di far prevalere una coerente visione del mondo. Non mancherà a lungo l’occasione. Di Maio, imbaldanzito dal risultato trionfale, ha già annunciato che il prossimo passo sarà il taglio dello stipendio dei parlamentari che, per inciso, è anche un’importante fonte di finanziamento per i partiti – in particolare per quelli che mancano della raffinata struttura di sostegno extra-politica costruita dal PD nel corso di decenni. E, di plebiscito in plebiscito, dove si fermerà l’attacco del M5S alla democrazia se non si opporrà resistenza? Difficile a dirsi. Se domani venisse chiesto agli italiani di pronunciarsi sull’abolizione totale del Parlamento (magari promettendogli come fumosa riparazione una piattaforma di voto online) siamo certi che si leverebbe un coro di “No”?
Va sottolineato che il ceto politico ha enormi responsabilità per quanto accaduto. Nel momento in cui 7 italiani su 10 rinunciano a una parte di propria rappresentanza politica pur di “castigare” i parlamentari, per giunta con l’assenso di tutti i partiti, è evidente che qualcosa è mancato. Episodi di corruzione, incompetenza, nepotismo hanno minato il prestigio della politica. La questione della selezione dei politici è più attuale che mai.
Un’altra questione che diviene attuale, ora che il Parlamento italiano è divenuto tra i meno rappresentativi d’Europa, è quella di trovare differenti spazi di democrazia. Benissimo: si sono tagliati i parlamentari perché tanto in Paesi come gli Usa ce ne sono pochi? Ottimo: però allora si diano ai cittadini tutti quegli altri strumenti di democrazia che in America compensano questo deficit di parlamentari. Si eleggano direttamente il capo dello Stato e il capo dell’esecutivo (magari unendo in una sola persona le due figure); si facciano scegliere, anche solo indirettamente, i giudici delle corti superiori; si diano agli esecutivi e alle assemblee regionali i medesimi poteri che hanno gli Stati americani federati; si riconosca il diritto a ciascun cittadino di portare le armi, anche per difendersi da qualsiasi tentativo d’imporre una tirannia.
In assenza di ciò, il taglio dei parlamentari avrà significato solo ciò che il M5S auspica: un ulteriore passo verso un sistema non democratico.
Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.
Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).
Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.
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