di Luca Ruggeri

L’11 settembre la nota agenzia di rating Moody’s ha espresso la propria valutazione circa la Turchia abbassandone il rating da un già poco entusiasmante B1 a B2 (considerandone quindi il debito speculativo con elevate probabilità di insolvenza) per di più con una prospettiva (“outlook”) negativa. Il giudizio è interessante sotto vari profili.

In primo luogo interrompe un periodo di scarsa attenzione per la Turchia da parte dei media finanziari nonostante l’andamento pesantemente negativo della lira turca; atteggiamento ben diverso rispetto a quanto registrato nell’estate del 2018, anche con riguardo alla posizione dell’amministrazione statunitense che allora intervenne con forza contribuendo significativamente alle difficoltà della valuta turca.

Nel periodo immediatamente precedente alla revisione del rating da parte di Moody’s, infatti, tra gli interventi di rilievo si segnalavano solo l’agenzia di rating Fitch che, in agosto, aveva confermato il rating BB-, sia pure modificando l’outlook da stabile a negativo, mentre JPMorgan, alla fine del mese scorso, aveva emesso una nota caratterizzata da toni positivi rispetto alla valuta turca, valutazione ben poco centrata alla luce del successivo andamento della lira.

In secondo luogo la valutazione di Moody’s si basa su argomentazioni solide ed assai negative per l’economia ed il governo turco. In sintesi Moody’s segnala la possibilità che gli squilibri con l’estero della Turchia portino ad una crisi della bilancia dei pagamenti in una situazione nella quale la banca centrale ha riserve in valuta estera insufficienti; Moody’s poi stigmatizza il fatto che le autorità turche non abbiano consentito la svalutazione della lira ed abbiano bruciato le riserve della banca centrale nella infruttuosa difesa del cambio nei confronti del dollaro (dall’inizio dell’anno la lira si è svalutata del 27%).

Molto duro il giudizio circa le capacità del governo di gestire la crisi, considerate limitate così come l’indipendenza della banca centrale; anzi le istituzioni vengono descritte quali riluttanti o incapaci di affrontare la crisi (“appear to be unwilling or unable to effectively address these challanges”). In questo contesto la buona situazione fiscale, che fino ad oggi ha sostenuto la valutazione dell’affidabilità della Turchia, è destinata a peggiorare. Per il futuro, secondo l’outlook di Moody’s, le prospettive per l’economia turca non appaiono rosee e giustificano la valutazione negativa; Moody’s, teme un rapido deterioramento della situazione fiscale, anche a causa dell’incapacità del governo; inoltre le tensioni internazionali contribuiscono a peggiorare ulteriormente il quadro.

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Complessivamente l’analisi di Moody’s conferma l’atteggiamento degli operatori finanziari ma colpisce per la sua ruvidezza anche nei confronti delle autorità turche.

Qualora ci si chiedesse chi siano i creditori bancari nei confronti della Turchia, quindi i più esposti a fronte di un eventuale default sovrano oppure delle imprese turche, si potrà trovare una risposta nei dati della Bank of International Settlements. Alla fine di marzo, il sistema bancario europeo risulta essere il principale finanziatore della Turchia lasciando ben poco spazio ai paesi extraeuropei. In dettaglio le banche spagnole appaiono di gran lunga come le più esposte nei confronti della Turchia (circa 61,4 miliardi di dollari) seguite a distanza dalle banche francesi (24,9 miliardi) ed inglesi (11,5 miliardi) mentre l’Italia segna soli 8,4 miliardi.

Non rassicura il fatto che proprio il sistema bancario spagnolo sia così esposto in considerazione della fragilità del sistema stesso che verrà inoltre chiamato ad affrontare le conseguenze economiche della pandemia.

Ricercatore senior del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Economia, ha lavorato per oltre venti anni presso una grande banca italiana ed attualmente svolge la propria attività quale direttore generale presso un investitore istituzionale.