di Daniele Scalea

Si è tenuto ieri sera il primo dibattito presidenziale tra Donald Trump e Joe Biden. Prima d’analizzarlo (chi volesse può rivederlo integralmente cliccando qui), una debita precisazione.

L’influenza del dibattito televisivo sull’esito delle elezioni non va esagerato. Rispetto a qualche decennio fa, oggi gli elettori sono costantemente bombardati di messaggi, video e testuali, da parte dei candidati, per tanti mesi prima del dibattito. E rispetto al passato la popolazione è molto più polarizzata: la maggior parte dei cittadini sa già con certezza se voterà per l’uno o l’altro candidato e nulla potrà farle cambiare idea (moltissimi, addirittura, hanno già votato via posta). Un dibattito serve principalmente agli indecisi, e tale fetta di cittadini va sempre più assottigliandosi. Ciò non significa che essa non esista più: ed è per tale ragione che il dibattito rimane comunque un momento importante della campagna elettorale. In questo 2020 l’interesse è ancora più grande, poiché diversi dubbi sono stati sollevati sulla lucidità mentale di Joe Biden, proprio alla luce dei dibattiti affrontati in occasione delle primarie democratiche. Ecco perché Trump punta molto sul confronto diretto per recuperare il terreno che, secondo i sondaggi, attualmente cede all’avversario.

Cominciamo subito col dire che non c’è stato l’atteso “crollo” di Biden. L’ex Vice-Presidente ha retto abbastanza bene l’ora e mezza di dibattito, certo talvolta borbottando o perdendo un po’ il filo del discorso, ma senza mostrare alcuno di quegli imbarazzanti frangenti vissuti in altre occasioni. La scelta di Trump, d’aggredire verbalmente l’avversario e interromperlo spesso – plausibilmente mirata a innervosirlo e mandarlo in confusione – potrebbe averlo persino aiutato: le frequenti interruzioni hanno nascosto eventuali defaillance del suo argomentare. Il Presidente Trump ha però ottenuto un altro risultato: impostando il dibattito su un aspro scontro verbale ha trascinato Biden su quel terreno, spingendolo più volte ad abbassarsi ad autentici insulti (“pagliaccio”, “sciocco”, “burattino di Putin” ecc.). Se il carattere di Trump è stato messo più volte in questione, Biden conta molto sul dare un’immagine più pacata e presidenziale: sicuramente essa non è trasparita in questo dibattito, togliendo un possibile vantaggio all’ex Vice-Presidente di Barack Obama.

Un’altra palese debolezza di Biden è che, in quest’occasione una volta di più, ha palesato la fumosità della sua posizione elettorale. Il messaggio di Biden, essenzialmente, è stato questo: “Trump è brutto e cattivo, io sono un rassicurante nonnetto: votate me”. In novanta minuti dalla sua bocca non è uscito pressoché nulla di concreto, eccetto l’impegno ad alzare le tasse a chi guadagna di più e bloccare gli investimenti negli idrocarburi. Biden ha assicurato che “risolverà l’epidemia”, senza mai nemmeno accennare a come farà. Incalzato sulle posizioni radicali sempre più popolari nel suo partito – ricette socialdemocratiche, abolizione della polizia, ambientalismo – le ha ripudiate tutte, sebbene in alcuni casi (vedi il Green New Deal) quanto affermato in tv non coincida con quanto scritto nel suo programma elettorale. Evidentemente Biden ha voluto salvaguardare le simpatie dei centristi, contando sul fatto che l’estrema sinistra lo preferirà comunque a Trump (infatti Alexandria Ocasio-Cortez ha risposto con grande flemma agli sconfessamenti di Biden); ciò potrebbe non essere vero però per l’elettorato meno ideologizzato, come il ceto operaio.

Trump, dal canto suo, non è riuscito a presentare in maniera chiara e coerente i successi conseguiti e quelli cui punta se rieletto. Viene da chiedersi se ciò sia la conseguenza dell’impostazione “rissosa” data al dibattito o di un’insufficiente preparazione. Biden ha sfoderato alcuni convincenti passaggi, evidentemente preparati, mentre Trump è parso perdere spesso occasione per elaborare in maniera compiuta la sua proposta.

Senza dubbio di scarso aiuto è stato il moderatore Chris Wallace, giornalista di “Fox News” ma non certo trumpiano. Sotto diversi aspetti ha palesemente favorito Biden, sebbene proprio il fatto di non essere un giornalista di sinistra rende più difficile per Trump trincerarsi dietro la malafede dei media. Ad esempio, Wallace ha posto il Presidente di fronte alla questione delle sue tasse, ma si è ben guardato dal chiedere conto a Biden del sospetto arricchimento illecito procurato al figlio Hunter, sebbene le accuse siano state corroborate da un’inchiesta ufficiale del Senato. Eppure, Trump ha più volte sollevato la questione, cui Biden ha debolmente risposto trincerandosi dietro un: “Tutti sanno che sei un bugiardo, sei screditato”. Il moderatore lo ha soccorso svicolando più e più volte dalla questione.

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Un altro momento di faziosità da parte di Chris Wallace lo si è avuto a proposito delle violenze di piazza. A un certo punto il moderatore ha chiesto a Trump di condannare il suprematismo bianco. Per due volte Trump ha risposto: “Certamente”, precisando però che le gravi violenze di questi ultimi mesi vengono da estremisti di sinistra e non di destra. Eppure il giornalista non ha posto analoga domanda a Biden: è toccato a Trump chiedere al rivale di dissociarsi dagli Antifa. Richiesta che il Vice-Presidente ha svicolato: non li ha infatti condannati, prendendo a pretesto che “Antifa” sarebbe un’ideologia e non un movimento. Se è per quello, anche il “suprematismo bianco” è un’ideologia e non un movimento strutturato. Non di meno, la narrativa ora spinta dai media progressisti, aiutati dall’inadeguatezza o malafede di Wallace, è che Trump non avrebbe condannato il suprematismo bianco (falso), mentre tutti tacciono sul fatto (vero) che Biden ha rifiutato di dissociarsi dalla violenza degli estremisti di sinistra (i quali imperversano nelle città americane saccheggiando negozi, assalendo onesti cittadini e intimando ai passanti di fare pubblico atto di adesione alla loro ideologia col pugno chiuso).

Riassumendo, il dibattito può considerarsi chiuso con un sostanziale pareggio. Trump ha puntato sul contrasto tra quanto realizzato da lui in pochi anni e il poco realizzato da Biden in 47 anni di politica, ma avrebbe potuto comunicarlo con maggiore efficacia. Allo stesso modo, non è riuscito a far passare chiaramente l’accusa a Biden di essere un politico corrotto. Dal canto suo Biden ha confermato di non avere una proposta politica diversa dal “battiamo Trump e poi si vedrà”, ma ha evitato il temuto crollo psichico che lo qualificasse come inadatto al ruolo.

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Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.