Sputnik Italia ha intervistato Daniele Scalea, Presidente del Centro Studi Machiavelli, a proposito delle prossime elezioni americane.

 

Il voto negli USA si avvicina, mancano oramai 4 settimane. Quella del 3 novembre sarà una delle elezioni più importanti di sempre per gli USA. In un clima politico di forte polarizzazione, si sfideranno non solo due candidati tanto diversi per stile e biografia come Donald Trump e Joe Biden, ma anche due visioni del mondo e della società antitetiche. Se il Partito Repubblicano trumpiano impugna gli stendardi del nazionalismo e della tradizione, il Partito Democratico appare espressione di una élite “politicamente corretta” desiderosa di rivoluzionare a fondo la società americana e l’intera civiltà occidentale. Perché, non bisogna mai dimenticarlo, ciò che succede in America regolarmente si ripercuote anche sull’Europa.

Nel saggio Trump contro tutti. L’America (e l’Occidente) al bivio (Historica/Giubilei-Regnani, Roma 2020) scritto a quattro mani da Stefano Graziosi e Daniele Scalea, gli autori ripercorrono quanto avvenuto negli ultimi quattro anni, dalla sorprendente vittoria di Donald Trump contro Hillary Clinton a oggi, descrivendo (senza i pudori caratteristici dei media mainstream) le controverse figure di Biden e Kamala Harris e analizzando le principali questioni su cui si sfideranno i concorrenti alla Casa Bianca.

A poche settimane dal voto Sputnik Italia ha raggiunto per un approfondimento Daniele Scalea, co-autore del volume e presidente del think-thank Centro Studi politici e strategici Machiavelli.

Daniele, nel vostro saggio voi partite dalla sorprendente vittoria di Donald Trump nel 2016. Qual è il bilancio di quattro turbolenti anni della sua presidenza? Potresti ricordare i maggiori successi e fiasco dell’attuale inquilino della Casa Bianca?

— Donald Trump può rivendicare una solida situazione economica, prima dell’arrivo dell’epidemia, e negli ultimi mesi rapidi segnali di ripresa. In particolare si era raggiunto un minimo storico di disoccupazione, che beneficiava in primis le minoranze etniche.

Ha poi completato un gran numero di nomine di magistrati, cosa importantissima negli Usa perché determina i futuri rapporti tra politica e sistema giudiziario (ad esempio i giudici di nomina democratica stanno facendo ostruzionismo a molti provvedimenti di Trump).

In terzo luogo, ha posto fine alla sequela di guerre e interventi armati che, dalla prima invasione dell’Iraq a inizio anni ’90, arrivava fino all’attacco alla Libia nel 2011, coinvolgendo presidenti repubblicani e democratici in egual misura. Trump si è limitato a due azioni cosiddette “chirurgiche” in Siria e Iraq, senza però mai cercare regime change o guerre durature. Anzi, il suo sforzo è per ottenere il completo ritiro da Iraq e Afghanistan.

In termini di fiaschi, oltre all’incompleta sostituzione dell’Obamacare (il sistema sanitario creato dal predecessore), c’è ovviamente la gestione dell’epidemia. La Covid-19 ha colpito più duramente in altri Paesi, nessuno è esente da errori, ma Trump è stato massacrato da media ostili che non attendevano altro per attaccarlo.

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E come sono cambiati gli USA in questo breve lasso di tempo? Quale America andrà a votare il 3 novembre?

— È un’America che va sempre più polarizzandosi: crescono i convintamente democratici e i convintamente repubblicani, diminuiscono i neutrali. È un’America sempre più ideologizzata: pensiamo al radicalismo dei progressisti politicamente corretti. Una doppia America che si parla sempre meno, che si detesta vicendevolmente, che non riconoscerà legittimità all’avversario che uscirà vincitore alle urne.

La gestione trumpiana dell’emergenza coronavirus è stata duramente criticata non solo negli USA ma anche nel mondo. Secondo te, quanto influirà la pandemia sulle scelte degli elettori, oppure il faro per il voto rimarrà comunque l’economia?

— Come abbiamo visto anche nelle recenti elezioni locali italiane, il coronavirus pesa eccome. Alla grave emergenza sanitaria ed economica si è aggiunta l’enfasi posta dalla grancassa mediatica: praticamente non si parla di altro. Per Trump è una debolezza, ma è pure vero che la scelta di Biden di minacciare nuovi lockdown può essere un boomerang: proprio come in Italia, anche in America sono pochi i cittadini che vogliono tornare indietro alla quarantena e alla serrata.

Più di 4 milioni di americani hanno già votato. All’interno degli ultimi sondaggi c’è qualche indicazione prevalente o si preannuncia una testa a testa? Oppure ancora una volta, come è già successo durante le scorse elezioni, gli Swing States giocheranno un ruolo fondamentale?

— Trump è decisamente indietro nei sondaggi, più di quanto lo fosse contro la Clinton nel 2016. Tuttavia la loro affidabilità non è, come sappiamo, totale, e molti sospettano che ci sia un voto “segreto”, non confessato ai sondaggisti, per Trump. Tanti sono scontenti e non dicono oggi di votare per lui, ma potrebbero farlo il 3 novembre perché non gli piacciono i democratici. Questi, del resto, stanno facendo di tutto per spaventare gli elettori moderati e di destra: paventano una rivoluzione culturale e minacciano azioni al limite della costituzionalità, come l’aggiunta arbitraria di membri della corte suprema, per instaurare un potere quasi assoluto. L’hubris che li spinge a non accontentarsi della vittoria, ma a cercare l’umiliazione e distruzione di chi non la pensa come loro, potrebbero pagarla cara nel segreto dell’urna.

Quali sono, a tuo avviso, le principali incognite di questa campagna elettorale? Cosa ci aspetta nelle prossime settimane, in vista del voto di novembre?

— Il voto via posta. Gli Usa hanno regole imperfette che non garantiscono la piena regolarità del voto. Il voto postale rischia d’essere occasione per brogli massicci, presumibilmente a favore di Biden. Nel post-elezioni potrebbe esserci una battaglia legale lunga e dolorosa. …CONTINUA A LEGGERE SU SPUTNIK…