di Daniele Scalea

A guardare i sondaggi, Donald Trump parrebbe spacciato: la forbice che lo separa dal rivale Joe Biden nelle intenzioni di voto ha raggiunto, negli ultimi giorni, i dieci punti percentuali. Non consola né la possibilità che alcuni sondaggi siano manipolati (quello della conservatrice Rasmussen è tra i più negativi: 12% di svantaggio) né il ricordo di quanto avvenuto quattro anni fa quando il vantaggio pre-elettorale di Hillary Clinton svanì nelle urne: il 13 ottobre 2016 la Clinton era accreditata di quasi 7 punti percentuali di vantaggio, meno di quanti ne avrebbe oggi Biden, e soprattutto durante l’intera campagna elettorale rimase sempre al di sotto del 50% delle intenzioni di voto, a differenza di Joe Biden che è generalmente al di sopra di tale soglia. La macchina elettorale democratica negli ultimi mesi sta raccogliendo cifre record dai donatori (Trump vinse nel 2016 con molti meno soldi della Clinton, ma quest’anno, non avendo dovuto affrontare costosissime primarie, sperava in una lotta più equilibrata sotto tale punto di vista). Il virus della Covid-19 sembra essersi accanito contro Trump, contagiandolo personalmente nel momento clou dopo averne demolito le prospettive di rielezione che, un anno fa, apparivano discretamente solide.

È quindi Trump fuori dai giochi? Mancano 20 giorni di campagna elettorale che, a seconda dei punti di vista, possono essere “appena 20 giorni” o “ben 20 giorni”. Sono ben venti giorni, poiché nel 2016 in questo lasso di tempo Trump riuscì a più che dimezzare il distacco che aveva da Hillary Clinton nei sondaggi. Sono appena venti giorni, perché quest’anno dovrà fare ancora di meglio. Ma vediamo quali sono gli elementi che lasciano, malgrado tutto, ancora ben sperare nelle sue possibilità.

1 – I sondaggi sembrano davvero esagerati. Come ci hanno spiegato con dovizia di particolari politologi e sociologi, gli Usa sono un Paese sempre più polarizzato politicamente. Vale a dire: cresce il numero di democratici “duri e puri” e di repubblicani “intransigenti”, decresce quello dei neutrali, degli indipendenti, degli indecisi che passano dal votare un partito al votarne un altro. Ma se esistono tanti repubblicani convinti, che per nulla al mondo voterebbero i democratici, è davvero pensabile che Biden stravinca a valanga, magari con un vantaggio a doppia cifra? È possibile nel 2020 uno scenario simil-1984, quando Reagan umiliò Mondale portandosi a casa 525 grandi elettori contro i 13 dell’avversario (60%-40% nel voto popolare), oppure questi 35 anni di distanza si fanno sentire? Le ultime cinque elezioni hanno visto distacchi nell’ordine del 2-3%, eccezion fatta per il 7% con cui Obama sconfisse McCain nel 2008: ma si era nel pieno dell’esplodere d’una acuta crisi economica. Certo è uno scenario possibile che Trump subisca una sconfitta umiliante, ma servirebbe una “tempesta perfetta”, con la massiccia mobilitazione dell’elettorato democratico, l’enorme afflusso alle urne di elettori pro-Biden che solitamente si astenevano, una generalizzata astensione di repubblicani. Tutto è possibile in questo anomalo 2020, ma rimane un’eventualità estrema ed improbabile.

2 – Esistono i votanti segreti. Non tutti vogliono dire ai sondaggisti per chi votano e questi elettori così riservati potrebbero stravolgere gli equilibri raffigurati nei sondaggi. Vi rammentate, qui da noi, di come Silvio Berlusconi fosse regolarmente sottovalutato nei sondaggi? In un clima di demonizzazione di quel candidato, i cui votanti spesso non sono appassionati attivisti e impavidi militanti ma miti “moderati”, persone comuni che non vogliono esporsi con le loro preferenze politiche, è facile che queste ultime esprimano il loro voto senza confessarlo: la famosa “maggioranza silenziosa“. E consideriamo che, attualmente, negli Usa il clima anti-Trump è molto più aspro e violento di quanto fosse quello in Italia contro Berlusconi: gran parte della stampa, per non parlare dei Vip, descrive il Presidente come un folle pagliaccio razzista e aspirante dittatore, e tutti coloro che lo sostengono come egualmente biasimevoli e inumani. Nelle ultime settimane ben due sostenitori di Trump sono stati uccisi per strada, freddati con colpi d’arma da fuoco, mentre manifestavano per il loro beniamino. Nelle maggiori città americane imperversano, pressoché incontrastate, bande d’estremisti di sinistra che possono saccheggiare negozi e importunare i cittadini. Non proprio il clima ideale per invogliare la suburban mum (l’equivalente americano della nostra proverbiale “casalinga di Voghera”) ad esternare il proprio sostegno al Presidente.

3 – I votanti dell’ultima ora potrebbero avere paura dei Democratici. Finora a stare al centro dell’attenzione è toccato a Trump. Sia perché è Presidente in carica, sia perché l’emergenza sanitaria ha posto il governo in primo piano, lo scrutinio degli elettori si è concentrato tutto su di lui. Una gran parte di coloro che intendono votare Biden (o già l’hanno fatto via posta) lo fa per astio verso Trump più che per entusiasmo verso l’ex Vice-Presidente di Obama, che ha passato buona parte del 2020 rintanato in casa e guadagnando voti proprio grazie alla sua invisibilità. Ma più ci si avvicina al 3 novembre, più Biden appare destinato a vincere, più l’attenzione dei cittadini si focalizzerà su di lui. Joe Biden ha diverse debolezze e, tra le tante, una è il crescente estremismo di cui è preda il Partito Democratico. Davanti al radicalismo ideologico, molti potrebbero tentennare. Tanto più che i Democratici stanno incappando in un grave errore: di fronte a sondaggi tanto favorevoli, dovrebbero cominciare a mostrarsi come vincitori miti e tolleranti, così da rassicurare quanti non sono loro partigiani. Ma, avendo abbracciato un’ideologia estremista ed aggressiva, coltivato narrazioni divisive come quella del “razzismo sistemico”, predicato per quattro anni odio becero contro Trump, faticano a cambiare registro. Al contrario, pregustano il trionfo e dicono apertamente che non gli basterà vincere, ma vogliono stravincere e umiliare Trump e i suoi sostenitori. Con disprezzo, Biden ha dichiarato che quanti ritengono di stare meglio oggi che quattro anni fa (secondo un sondaggio, la maggioranza degli americani) dovrebbero astenersi dal votare per lui. Molti democratici – e Biden e la Harris si sono più volte rifiutati di dissociarsi – dichiarano l’intenzione, qualora dovessero vincere Casa Bianca e Senato, di aggiungere un numero arbitrario di giudici della Corte Suprema per assumere il controllo anche di quest’ultima istituzione: una mossa al limite del coup. Il giornalista pro-democratico Keith Olbermann ha fatto parlare di sé perché, su YouTube, ha auspicato che dopo la vittoria di Biden siano incarcerati Trump, i suoi ministri, i giornalisti che lo sostengono, persino la giudice designata per la Corte Suprema Amy Coney Barrett. Non proprio messaggi rassicuranti.

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4 – Per Trump non è necessario vincere il voto popolare. Nel 2016 Trump è stato eletto presidente pur ottenendo meno voti di Hillary Clinton (uno scarto significativo di 2,1 punti percentuali). Ciò perché le elezioni si basano sui risultati nei singoli Stati, dove i “grandi elettori” non sono ripartiti proporzionalmente ma secondo il principio del winner-take-all. Perciò conta poco che i democratici facciano il pieno di voti in California: vincervi col 50,1% o col 99,9% ha lo stesso impatto sull’elezione nazionale. Da qui il principio per cui ci sono alcuni Stati-chiave che, vinti anche solo di misura, possono decidere il risultato finale. Nel 2016 Trump ottenne la Casa Bianca grazie alla vittoria, per pochi punti percentuali o addirittura decimi di punto, in Florida, Michigan, Pennsylvania, Wisconsin. Guardando ai sondaggi in questi quattro Stati più North Carolina e Arizona, si può appurare che lo svantaggio nei sondaggi per Trump è sostanzialmente pari a quello che aveva quattro anni fa, quando li vinse tutti e sei.

Ci sono, insomma, delle circostanze che possono favorire Trump contro Biden. Certo è che, se in questi venti giorni non si dovesse assistere almeno a un riavvicinamento nei sondaggi (cosa che difatti accadde nell’equivalente periodo del 2016), allora sarà difficile attendersi grosse sorprese il 3 novembre, considerando anche che molti americani stanno già votando via posta e questo tipo di voto fa temere la possibilità di brogli. Se però si dovesse arrivare a novembre con un Trump distanziato di non più del 4/5% nei sondaggi (com’era in primavera) il ribaltone nell’urna sarà eventualità da non escludere.

Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di "Storia e dottrina del jihadismo" presso l'Università Marconi e di "Geopolitica del Medio Oriente" presso l'Università Cusano, dove in passato ha insegnato anche in merito all'estremismo islamico.

Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi; successivamente ha svolto il ruolo di capo della segreteria tecnica del Presidente della Delegazione parlamentare presso l'InCE (Iniziativa Centro-Europea).

Autore di vari libri, tra cui Immigrazione: le ragioni dei populisti, che è stato tradotto anche in ungherese.