di Marco Malaguti
Non si possono comprendere i tumulti, parzialmente ancora in corso, del movimento Black Lives Matter (BLM), se non si conosce il retroterra culturale che ha preparato, accuratamente, l’humus ideologico nel quale tale clima di tensione si è originato. Così come il clima culturale illuministico rappresentò un fattore decisivo nell’innesco della Rivoluzione Francese, o così come dottrine filosofiche e sociologiche come la Teoria Critica e quella postmoderna ebbero un ruolo fondamentale nella deflagrazione della stagione della contestazione del 1968, anche l’attuale BLM ha un suo retroterra, ancora poco studiato in Europa, ma nondimeno importante da conoscere in un contesto di progressivo avvicinamento ad una società di tipo multirazziale di tipo americano.
Posta la complessità del tema delle origini delle tensioni razziali negli USA, che è costituita da una stratificazione di motivazioni economiche, sociali e storiche, e che richiederebbe un intero volume per essere esplicata chiaramente, ci soffermeremo sull’elemento più schiettamente ideologico, la cosiddetta “Critical Race Theory” (CRT): la teoria di critica sociale a base razziale emersa nelle facoltà umanistiche di alcune università statunitensi durante gli anni Ottanta e consolidatasi sempre di più nel successivo trentennio, con una decisa accentuazione del fenomeno durante gli otto anni di amministrazione Obama.
Partendo dall’assunto postmoderno per cui tutto l’assetto sociale e politico è figlio del linguaggio e dei suoi meccanismi strutturali, la CRT contesta alla cultura americana e “bianca” il misfatto di aver rinchiuso all’interno dei suoi schemi culturali e linguistici “razzisti” le minoranze etniche, di retaggio schiavistico o migratorio, dell’Occidente. La mancanza di inclusività della società americana, che per i sostenitori della CRT sarebbe ancora fortemente penalizzante nei confronti delle minoranze etniche (prima tra tutte quella afroamericana), sarebbe quindi causata dalla struttura stessa dell’ordinamento sociale degli Stati Uniti, creato da e per i bianchi nonostante le avvenute conquiste nel campo dei diritti e dell’abolizione della segregazione razziale negli stati del Sud. È l’architettura dello Stato e della società, a monte delle medesime leggi, a generare costruzioni mentali e giochi linguistici che perpetuano gli stereotipi razzisti e la mentalità suprematista.
L’ascendenza marxista della CRT è evidente, laddove per i marxisti non erano sufficienti i diritti umani borghesi dell’illuminismo a garantire l’eguaglianza: anzi, essi si trasformavano nel perfetto cane da guardia degli interessi degli sfruttatori se si rifiutava di inquadrare la sfera economica come momento egemonico che poi avrebbe demolito le restanti sovrastrutture. Per Marx, cambiare la società, anche culturalmente, significava essenzialmente cambiarne la struttura economica, il resto avrebbe seguito da sé. Per i sostenitori della CRT e per la prassi postmoderna, vale lo stesso principio, ma ribaltato: se tutto è un gioco linguistico e una costruzione culturale partorita da un prisma deformante herderiano, basta agire in senso inclusivo sul piano linguistico-culturale per poi innescare una reazione a catena che si declinerà inevitabilmente sul piano di una maggior inclusione sociale ed economica delle minoranze. Si tratta dunque di un marxismo ribaltato, dove la sfera linguistica e “razziale” ha sostituito la matrice economicistica del marxismo classico, arrivando a conclusioni non troppo dissimili da quelle del nazionalsocialismo (specie se si considera che il postmoderno ebbe riferimenti importanti proprio in Schiller ed Herder, capisaldi del pensiero nazionalconservatore della Germania dell’Ottocento).
È in tal senso che probabilmente Donald Trump ha, correttamente, ravvisato una matrice razzista nella CRT, che ha sicuramente attinto a figure radicate nell’immaginario afroamericano come Malcom X, ma che ha anche incolpevoli ispiratori nella cultura conservatrice bianca dell’Ottocento. Le conseguenze nefaste di un’espansione ulteriore della CRT nel sistema scolastico americano (eventualità che la Trump sta cercando di scongiurare proibendo la CRT a chi voglia collaborare con le istituzioni federali), sono evidenti, considerando che gli USA sono uno Stato multirazziale, e lo saranno sempre di più con la crescita demografica della popolazione ispanica a danno della maggioranza bianca di ascendenza prevalentemente tedesca, anglosassone ed italiana. La divisione su basi razziali che si combattono le une con le altre rischia di avere conseguenze esplosive simili a quelle che ebbe il dilagare dei nazionalismi in imperi multietnici del passato come quello Austro-Ungarico o quello Ottomano. Paesi multirazziali come il Brasile e il Sudafrica, o paesi in via di differenziazione razziale per cause migratorie come la Francia, corrono rischi analoghi, in special modo a fronte di competitori geopolitici etnicamente uniformi come la Cina.
La CRT, per la quale uno Stato creato da bianchi sarebbe incompatibile col benessere dei neri e viceversa, mina alle fondamenta le basi della società statunitense, nelle cui matrici liberali e anglosassoni una parte cospicua di cittadini statunitensi non si riconosce più. La matrice razzista della CRT emerge quando, procedendo per logica sulla base dell’incompatibilità sussistente tra etnie e diverse origini degli ordinamenti statali, si giunge alla conclusione ultima del discorso razzista: l’apartheid. La decantata società aperta finisce per sfociare nel suo opposto, ossia il dilagare della segregazione razziale, questa volta auto-imposta dalle comunità stesse e non più decretata dallo Stato centrale come nel caso sudafricano.
Passo successivo è l’attacco della CRT al liberalismo, visto come veicolo privilegiato della supremazia bianca tramite i concetti quali merito ed efficienza. Un attacco che si traduce in una rivalutazione quasi schmittiana per il decisionismo, e quasi leninista per l’organizzazione politica dal basso. Anche qui, la coabitazione tra elementi di critica razzista e prassi politica socialista suggerisce una vicinanza quantomeno teorica al nazionalsocialismo, molto più ampia di quanto si possa immaginare per quella che tutto sommato rimane una teoria di “sinistra”, e ciò vale a maggior ragione se consideriamo che il nazionalsocialismo fece della guerra al liberalismo uno dei suoi leitmotiv, laddove però il bersaglio era costituito non dalla “razza bianca” ma dal popolo ebraico.
Quali possano essere le conclusioni pratiche e fattuali di un ulteriore radicamento della CRT può essere meglio immaginato che non esplicato a parole.
Ricercatore del Centro Studi Machiavelli. Studioso di filosofia, si occupa da anni del tema della rivalutazione del nichilismo e della grande filosofia romantica tedesca.
Che poi ancora non riesco a capire cosa c’entrano l’efficenza e la meritocrazia con i bianchi.
Non sono qualità del singolo?