di Davide Lanfranco

Al di là delle dichiarazioni pubbliche e delle strategie propagandistiche, i freddi numeri riportano sempre tutto e tutti alla realtà. Nel caso del contrasto alla pandemia da Coronavirus l’aumento esponenziale dei contagi (ampiamente prevedibile e prevista) di questi ultimi giorni, con il rischio di blocco del sistema sanitario, dimostra che la tanto decantata “strategia del tracciamento di massa” è fallita.

Sicuramente è fallita in Italia ma, da quello che posso capire, anche in altre nazioni occidentali in cui è stata adottata, non sta andando diversamente. Nel nostro Paese il fatto ha un significato particolare, perché, da noi, venne tentato, allora con successo, il primo esperimento del genere in Europa ( in Asia ci provarono se non erro qualche settimana prima). Mi riferisco chiaramente a quanto fatto dal Presidente del Veneto Zaia su indicazione del Professor Andrea Crisanti, quando si scoprì del focolaio a Vò Euganeo. In quella circostanza, la strategia di effettuare il tracciamento dei contatti dei positivi sintomatici al Covid-19, al fine di individuare ed isolare i positivi asintomatici, ha permesso di azzerare i contagi in Veneto in poche settimane ed evitare la “deriva lombarda”.

L’indiscutibile successo veneto ha spinto il nostro Governo e, forse, anche altri governi europei a pensare di aver trovato l’arma di fine di mondo contro il virus, soprattutto in associazione alle magnifiche tecnologie informatiche et progressive che tutto possono, secondo molti ottimisti disinformati. Purtroppo, come anche detto dal Professor Giorgio Palù di recente, la strategia del tracciamento di massa funziona solo su piccoli numeri di contagiati ed all’inizio di una epidemia (come pare avvenuto in Corea del Sud). Non può mai funzionare, invece, su numeri enormi di contagiati perché nessun sistema sanitario ha la tempestività e la forza di individuare per tempo tutti gli individui venuti in contatto con decine di migliaia di infetti ogni giorno e fare a tutti i tamponi.

Il fatto che ci sarebbe stato ad oggi un aumento esponenziale dei contagi in poco tempo era, poi, prevedibilissimo e previsto causa diversi fattori: l’arrivo della stagione più fredda che aumenta le patologie respiratorie, la riapertura delle scuole con la maggior circolazione di persone e l’inevitabile allentamento dell’attenzione nelle persone durante i mesi estivi. Eppure le autorità politiche, non solo italiane invero, non sono riuscite o non hanno avuto il coraggio di cambiare strategia mandando in tilt immediatamente il sistema sanitario.

Molte strutture sanitarie, in queste ore, si stanno riconvertendo in Ospedali-Covid e stanno rinviando operazioni chirurgiche e controlli per patologie anche più letali del virus che viene da Wuhan (tumori, infarti). Due aziende sanitarie regionali del Nord Italia hanno già alzato bandiera bianca sul tracciamento dei possibili positivi asintomatici; in altre realtà la situazione è la stessa ma fanno gli gnorri. Se qualcuno, come ora è probabile, conosce una persona risultata positiva al Covid-19 in questi giorni, probabilmente si sarà sentito dire che non è mai stata contattata né è riuscita a contattare la ASL da quando ha fatto il tampone. Una parola sola per spiegare la situazione: fallimento. Invece le autorità politiche e burocratiche nicchiano e danno la colpa ai cittadini indisciplinati arrivando a diffondere, complice una stampa silente, delle vere e proprie “bufale” di cui si beano molti nostri connazionali.

La più infima e facile da smascherare è quella sulla applicazione informatica IMMUNI, presentata qualche mese fa come la panacea di tutti mali. Ricordo che scaricare l’applicazione anti-contagi è stato presentato a tutti gli italiani come un dovere civico e chi si è rifiutato di farlo, per evitare la gogna pubblica, doveva inventare pietose scuse sul malfunzionamento del proprio dispositivo telefonico. Cosa possiamo dire ad oggi di IMMUNI? Funziona? È una sòla, come dicono a Roma? Probabilmente sarà perfetta tecnicamente, ma non si saprà mai se a pieno regime avrebbe funzionato bene. La vulgata comune trasmessa da media ed accolta acriticamente dai molti italiani, racconta che la colpa se non dovesse funzionare IMMUNI è degli italiani che non l’hanno installata sui propri telefoni cellulari. Bufala sonora facilmente confutabile consultando proprio il sito immuni.italia.it.

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L’applicazione di cui si parla è stata scaricata da più di nove milioni di italiani, quindi quasi un sesto della popolazione totale (compresi bambini ed anziani); percentuale non distante dai più virtuosi tra gli altri europei.
Eppure tra i nove milioni di italiani con IMMUNI sullo smartphone risultano appena 1134 positivi al Covid-19. Ovviamente, a meno di pensare che i 460.000 italiani accertati da marzo quali positivi al virus stiano, quasi tutti, tra chi non ha installato IMMUNI, qualcosa non quadra nella narrazione pubblica.

Colpa allora di chi l’ha scaricata solo per fare il cittadino bravo ma poi, colpito dal contagio, per non passare per untore, ha omesso di comunicare la sua positività? Assolutamente no. È fallita la parte della gestione umana del tracciamento, perché, nonostante tanti analfabeti funzionali pensino che uno strumento informatico possa fare tutto da solo, in realtà lo stesso funziona solo da tramite e per rendere più veloce il lavoro umano. Nello specifico chi traccia i possibili contagiati deve essere, obbligatoriamente, un funzionario della ASL. Non può farlo un algoritmo, un operatore del call-center e nemmeno il contagiato, perché la notifica che arriva “al possibile contatto stretto” è di fatto la notifica di un provvedimento sanitario, ovvero una cosa invasiva e che obbliga lo stesso a determinate restrizioni ed a seguire un protocollo che può terminare con un tampone. Semplificando, se io risultassi oggi positivo con tampone al Covid-19 dovrei ricevere immediatamente la chiamata della ASL che mi dovrebbe fornire le disposizioni sul mio isolamento ed eventuale terapia e, contestualmente, dovrebbe chiedermi chi ho incontrato prima dell’acclarata positività o della manifestazione del primo sintomo, cercando di chiarire tempi e modalità del contatto. Le persone di cui ho i riferimenti telefonici verrebbero chiamati direttamente dalla ASL, mentre gli altri verrebbero notificati a mezzo IMMUNI direttamente sui loro dispositivi telefonici, solo dopo che un ulteriore funzionario della ASL preposto mi avrà contattato per fornirmi uno specifico codice di attivazione da inserire sul mio telefono.

Fino a quando i contagiati erano poche unità ogni giorno e circoscritti in alcune aree specifiche tutto quanto sopra descritto avveniva, ma ad oggi su molta parte del territorio nazionale non succede nei fatti più, perché i funzionari ASL preposti non possono stare dietro a tutte le persone da “tracciare” in tempi utili. Col paradosso che il singolo cittadino, che magari è pure ligio alle regole ed ha “scaricato” l’app IMMUNI, oltre a ritrovarsi contagiato e solo, è pure costretto, tra mille preoccupazioni, a chiamare, per ore e giorni interi, dei numeri verdi che risultano, costantemente, occupati. Poi, magari, quando pervicacemente riesce a far tracciare i propri contatti personali, la notifica o comunicazione agli stessi arriva dopo i 14 giorni di quarantena, rendendo inutile il tracciamento.

I governi e gli apparati falliscono ancora ma, invece di ammettere il fallimento, scaricano le colpe e le responsabilità sul singolo cittadino. Il virus passerà, il fallimento della gestione invece rimarrà.

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Laureato in Sociologia (Università La Sapienza di Roma) con Master in Economia e Finanza degli Intermediari Finanziari (Università LUISS). Da vent’anni lavora per lo Stato Italiano nel settore delle Forze di Polizia.