di Stefano Beccardi

In ogni corso che si rispetti si spiega la differenza tra informazione e comunicazione; la prima, come flusso di dati, la seconda come processo relazionale. Alla prima si chiede di essere completa, precisa, chiara; alla seconda di essere efficace, di saper indirizzare il destinatario verso una certa meta.

Specialmente in una situazione critica, come nell’epidemia in corso, sarebbe opportuno che la prima sappia descrivere il pericolo, la seconda come evitarlo. Dal canto suo, una corretta azione politico-governativa dovrebbe selezionare le fonti d’informazione e trasmettere la ponderatezza dei provvedimenti adottati. Ossia, l’esatto opposto di quanto accade da mesi a questa parte e si fa ogni giorno più evidente e insopportabile.

Difatti, riepilogando, è emerso che:

– gli esperti virologi (o insomma, chi più, chi meno…) hanno trasportato nel dibattito pubblico l’incertezza del mondo scientifico, fomentando opposte tifoserie (a fasi invertite) e ingenerando più incertezza che fiducia collettiva. Sarà forse un po’ stata la sbornia di essere usciti improvvisamente dai laboratori per essere ascoltati, ma è stato un attimo calarsi alla perfezione nell’infotainment;

– i “comitati tecnico-scientifici” hanno espresso valutazioni un po’ su tutto (comprese le abitudini di vita, la cerchia di frequentazioni) tranne che su quello che davvero occorreva: come predisporre un piano di sanità pubblica ed evitare una tragica identica ricaduta, come ristorare adeguatamente le perdite economiche, come adeguare la logistica e potenziare la rete internet per non avere, specialmente nel settore pubblico, vuoti e intoppi di servizio;

– l’esecutivo ha giocato la carta della deresponsabilizzazione: attribuendo scelte proprie alle indicazioni dei comitati tecnico-scientifici, giocando la carta del (reciproco) attendismo con le Regioni, puntando costantemente l’indice verso l’una o l’altra categoria sociale in diretta televisiva, a mo’ di reality show. Tutto ciò mentre non forniva alcuna impressione di avere salda la situazione (minimizzando a febbraio a emergenza già nota, amplificando a dismisura il pericolo in seguito per evocare un pericolo soverchiante per giustificare i propri errori) e, ormai è chiaro, non sapeva organizzare una “fase 2” né tantomeno una “fase 3” – figuriamoci quindi una “partita europea” sul MES o sul Recovery Fund – disunito, com’è apparso, al suo interno;

– le Regioni hanno, di fatto, messo in crisi il principio di sussidiarietà, oscillando tra posizioni più o meno severe, più o meno garantiste di quelle governative, a solo furor di popolo;

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– i mass media, a chiusura del cerchio, hanno messo in mostra l’abituale, morbosa, “pornografia del dolore”, filtrando in modo tendenzioso e sensazionalistico i dati che facevano divampare le opposte fazioni da incollare davanti allo schermo e incentivando il clima di “caccia all’untore”.

In breve, si tratta di un fallimento generale, che ha generato isterismi assortiti in balia degli eventi – gli irreprensibili segnalatori da una parte, i libertari dall’altra, mossi sia gli uni che gli altri da un individualismo di fondo che ha contribuito a rimarcare la frammentazione sociale, tra categorie, generazioni, aree territoriali – e non ha fornito alcuna rassicurazione ai ceti produttivi, che si sono il più delle volte affidati al proprio intuito e alla propria organizzazione per sopperire alle mancanze, ai rimpalli, alle esagerazioni altrui.

Se l’obiettivo era quello di compattare la nazione per uscirne fuori al più presto, è ampiamente fallito, perché ha generato solo reciproca diffidenza. Se il modo per raggiungerlo era sensibilizzare gli italiani sull’insidiosità del Covid-19, le manifeste contraddizioni a stretto giro e l’abnormità delle misure assunte ha solo favorito la diffusione del principio mors tua, vita mea. Se alla comunicazione verbale devono accompagnarsi i segni tangibili, ciò è clamorosamente mancato all’appello, creando una frattura tra classe dirigente, “esperti” e popolo, il quale è ormai esausto di sentirsi abbandonato e giudicato e, per l’effetto, sempre più refrattario a ogni ulteriore chiamata di responsabilità a senso unico.

L’orgia comunicativa si è rivelata più letale della stessa epidemia. Cosa buffa, o sospetta – cui prodest tutta questa confusione? Perché così tanta attenzione verso gli stili di vita, e così poca attenzione verso il ceto medio? –, in un’epoca in cui gli spin doctor sono talora le vere menti politiche e le società di comunicazione selezionano la classe politica.

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Avvocato, ha un Master in Consulenza politica e marketing elettorale (Eidos).