di Luca Marcolivio

Ci risiamo. Ancora una volta a fare i bastian contrari con Bruxelles sono Polonia e Ungheria. Stavolta la posta in gioco è più grossa del solito. Da Varsavia e da Budapest è arrivato il veto all’adozione del bilancio dell’Unione Europea, quindi all’elargizione del recovery fund, dopo che si era concluso l’accordo tra la presidenza di turno tedesca e il Parlamento Europeo.

Il commissario europeo al Bilancio, Johannes Hahn, si è detto “deluso”. Più dura la reazione del capogruppo PPE a Strasburgo, Manfred Weber, che ha definito “irresponsabile” l’atteggiamento dei governi polacco e ungherese, sollecitandoli a rendere conto “ai milioni di lavoratori e imprenditori, ai sindaci e agli studenti, ai ricercatori e agli agricoltori che contano sul sostegno di questi fondi”. Non meno drastico il presidente del PPE, il polacco Donald Tusk (“Chi è contrario al principio dello stato di diritto è contro l’Europa”), mentre il ministro italiano per gli Affari Europei, Enzo Amendola, ha addirittura definito il potere di veto “obsoleto per l’UE e dannoso per chi lo esercita”.

Da dove nasce l’ennesima impuntatura dei due governi sovranisti? Pomo della discordia è la condizionalità della concessione dei fondi al rispetto dello stato di diritto, ovvero l’indipendenza della magistratura e la tutela dei diritti fondamentali. Fin qui la versione dei media mainstream. Quello che il 90% dei giornali non vi dirà mai è che nello “stato di diritto” sono inclusi in modalità ormai irreversibile i soliti immancabili diritti lgbt. A confermarlo giovedì scorso è stata la commissaria europea per l’Uguaglianza, Helena Dalli, in occasione della presentazione della strategia della UE sull’uguaglianza delle persone LGBTQI, in base alla quale “quei paesi membri in cui non vigono linee guida nazionali per gli LGBTQI, saranno sollecitati ad adottarle”.

Di ‘nuovi diritti’, però, Polonia e Ungheria non vogliono saperne, pertanto giovedì 19 novembre al Consiglio Europeo si prospetta una riunione di fuoco. È in particolare il governo magiaro a mettersi di traverso. Il parlamento di Budapest ha infatti appena iniziato a discutere una possibile modifica della Costituzione a protezione della famiglia naturale: non solo il matrimonio è soltanto tra persone di sesso diverso ma – udite, udite – “la madre è una donna, il padre è un uomo”. Inoltre, secondo gli emendamenti in discussione, “l’Ungheria protegge il diritto dei bambini di auto-identificarsi secondo il loro genere di nascita (maschio o femmina) e garantisce un’educazione secondo i valori basati sull’identità costituzionale e la cultura cristiana del nostro Paese”. L’esecutivo di Viktor Orban è posto davanti a un bivio: la propria Costituzione (con i propri principi ispirativi) o l’Europa (con i nuovi diritti). Il duello è epocale: non è in gioco soltanto il futuro dell’UE ma la stessa identità antropologica di un vecchio continente “sazio e disperato”.

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Saggista e giornalista professionista, è accreditato alla Sala Stampa della Santa Sede dal 2011. Direttore del webmagazine di informazione religiosa"Cristiani Today", collabora con "La Nuova Bussola Quotidiana"e"Pro Vita & Famiglia". Dal 2011 al 2017 è stato caporedattore dell’edizione italiana di "Zenit".