di Pietrina Soprano

I notiziari, i giornali, le agenzie, i media tutti ripetono ormai continuamente le regole per contenere la pandemia da Sars-Cov-2. Una delle parole più utilizzate è “distanziamento” perché – viene detto – gli assembramenti favoriscono il contagio. Da qui la ricerca di “spazi” che è ormai diventata un’emergenza nell’emergenza.

Le autorità implicate nella gestione del problema lamentano la carenza di locali idonei per scuole, ospedali e gli altri servizi pubblici in generale. Con riferimento alla sanità la questione è particolarmente preoccupante perché, tra le altre, compromette la possibilità di effettuare tamponi, nonostante la disponibilità data da molti medici di base. Ciò è stato evidenziato in un recente articolo riferito alla situazione Lazio dal titolo: Beffa dei test rapidi i medici di base, ci sono i locali delle Asl no. Spazi troppo piccoli e mancanza di doppi ingressi: ambulatori non adatti a garantire l’esecuzione dei tamponi in sicurezza (Camilla Mozzetti, “Messaggero” del 24 novembre 2020). Vi si legge che, nonostante ben 1700 medici su 4600 convenzionati in tutta la Regione si siano dichiarati disponibili a effettuare i tamponi rapidi, paradossalmente, dopo che è partita la loro distribuzione, ci si è accorti che “… mancano i locali per svolgere i test”, aggiungendo che, per sopperire alla carenza di spazi, “si vira sui centri anziani e sulle parrocchie” (Marani e Mozzetti, “Messaggero” del 24 novembre 2020). Il problema supera i confini del Lazio e investe l’intero territorio nazionale, coinvolgendo non solo chi necessiti del tampone ma anche coloro che sono tenuti alla quarantena o svolgono lavori a rischio contagio.

E che dire delle scuole? Poiché mancano aule capienti tali da garantire il distanziamento degli studenti, molti edifici scolastici sono costretti a restare chiusi o a fornire servizi parziali o con turnazioni, con serio pregiudizio del diritto all’istruzione.

Data la situazione emergenziale si potrebbe pensare che tutto ciò è inevitabile e che non ci sono alternative. Ma non è così! Una soluzione c’è ed è a costo zero; potrebbe – se non risolvere – almeno fornire un contributo utile; è sotto gli occhi di tutti, ma, nonostante i ripetuti appelli della sottoscritta, continua ad essere ignorata. Di cosa si tratta?

Dal 2010 opera in Italia l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC). A seguito della confisca, i beni de quibus vengono trasferiti al patrimonio dello Stato e si apre un procedimento per la scelta della loro destinazione. Nelle “Linee Guida per l’amministrazione finalizzata alla destinazione degli immobili sequestrati e confiscati” elaborate dall’Agenzia si evidenzia come detta destinazione può riguardare “enti pubblici rappresentativi delle collettività territoriali danneggiate dalla criminalità organizzata o latu sensu riconducibili ad attività illecite” ovvero “pubbliche amministrazioni per finalità propriamente istituzionali”.

In tale contesto normativo l’Agenzia in questione ha pubblicato sul proprio sito un bando con scadenza prorogata al 15 dicembre 2020 che dà la possibilità a “Enti e Associazioni del privato sociale” di ottenere l’assegnazione “a titolo gratuito” di mille (1000) immobili confiscati in via definitiva affinché siano destinati a finalità sociali (clicca qui per accedere al bando). Avete capito bene! Si donano mille (1000) cespiti tra appartamenti in condominio e indipendenti, magazzini, depositi, box auto, terreni, fabbricati rurali, fabbricati in corso di costruzione, ville, laboratori di arti e mestieri sparsi in tutta Italia, analiticamente elencati negli allegati al bando che chiunque può visionare nel sito dell’ANBSC; immobili che si aggiungono a migliaia di altri in carico alla stessa Agenzia, sparsi in tutt’Italia.

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Orbene alla luce della ratio istitutiva dell’Ente e considerate la grave emergenza sanitaria che ha colpito il Paese e la conseguente crisi economica, apparirebbe opportuno, o meglio, doveroso, rivedere il richiamato bando. I beni in esso elencati, infatti, potrebbero – rectius dovrebbero – essere utilizzati per sopperire alla denunciata carenza di spazi e, attraverso tale via, salvare vite umane. È paradossale che, mentre sussiste l’urgenza di individuare posti letto per la terapia intensiva e subintensiva, locali per le quarantene di medici, sanitari, soggetti in condizioni di fragilità, dunque intere categorie ad altissimo rischio, lo Stato non pensi di recuperare le centinaia di immobili confiscati alla criminalità. Altrettanto illogico che gli studenti non possano frequentare la scuola per l’assenza di locali idonei nonostante la disponibilità di immobili confiscati a disposizione della collettività. Ancor più incredibile è che detti immobili siano offerti gratuitamente ad associazioni per finalità che nulla hanno a che vedere con l’emergenza sanitaria, il che è in spregio a milioni di ammalati, sanitari, studenti e loro famiglie.

Non meno importante il risparmio di spesa che conseguirebbe dall’utilizzo dei beni de quibus! Anziché locare spazi privati a caro prezzo lo Stato ben potrebbe utilizzare, senza oneri, i beni confiscati, liberando risorse che potrebbero finanziare ad esempio la ricerca di cure sulla malattia o sostenere l’economia. Ricordiamo che l’amministratore pubblico deve gestire con responsabilità il denaro del contribuente e ha un obbligo etico, prima ancora che giuridico, verso lo stesso, al quale impone il sacrificio del prelievo. Aspetto quest’ultimo spesso sottaciuto ma prioritario nella gerarchia dei valori di uno Stato.

Senza mettere in dubbio l’importanza delle tante espressioni della società civile che operano per finalità più che encomiabili, in questo momento ciò che conta più di ogni altra cosa è salvare la vita, garantire il diritto all’istruzione, investire nella ricerca, sostenere l’economia, e tutti coloro che hanno incarichi di governo hanno il dovere di impegnarsi con ogni mezzo per conseguire tali obiettivi.

Pertanto, stando così le cose, sarebbe doveroso rivedere il bando più volte menzionato e individuare, tra gli immobili in esso elencati, quelli utili e idonei per le necessità provocate dalla gravissima emergenza sanitaria, mettendoli a disposizione per medici, operatori sanitari, esercenti servizi pubblici, ammalati, soggetti a rischio o in quarantena ovvero per la scuola e per i servizi pubblici che, in generale, ne necessitino. Ove ciò non avvenisse, si sappia e si affermi con forza che lo Stato ha potuto ma non ha fatto tutto ciò che doveva per salvaguardare la salute dei propri cittadini, garantire il diritto all’istruzione degli studenti, assicurare e realizzare una “Buona Amministrazione”!

Avvocato, professoressa in discipline giuridiche ed economiche presso un istituto di istruzione superiore, dove è referente per l’educazione civica, il bullismo e il cyberbullismo.