di Luca Marcolivio
Il cambio di sesso fin dall’adolescenza, o addirittura dall’infanzia, sembra essere qualcosa di socialmente accettato in Gran Bretagna. Eppure, parecchie cose non sono affatto andate per il verso giusto. La recente sentenza dell’Alta Corte di Londra pare davvero segnare un brusco risveglio per le illusioni di tanti ideologi del gender fluid. Forse potrebbe persino segnare un’inversione di tendenza. Il massimo tribunale britannico ha dato ragione a Keira Bell, la 23enne che, all’inizio della sua pubertà, senza troppa convinzione, aveva avviato il trattamento.
A partire dai sedici anni, Keira aveva affrontato tutta la canonica trafila per chiunque voglia cambiare sesso: assunzione di bloccanti ormonali, seguiti dai farmaci transizionali, poi la mastectomia. Il suo aspetto fisico aveva iniziato quindi ad assumere connotati maschili: crescita della barba, voce roca, niente più seno. Più passava il tempo, più la giovane era pentita della sua decisione. La sua femminilità, che inconsciamente non aveva mai smesso di desiderare, era compromessa per sempre.
In effetti, la sua scelta non era mai stata completamente libera. Fu la madre a inculcarle, fin da bambina, la possibilità di diventare un uomo, probabilmente proiettando nella figlia un suo desiderio recondito. Cosicché la bambina, che inizialmente insisteva a dire alla madre: “No, non sono un maschio”, col tempo si era lasciata persuadere. Ma, nel gennaio 2019, Keira Bell smette per sempre di assumere ormoni maschili. Poco dopo intraprende la sua battaglia legale contro l’ormai famigerata clinica Tavistock & Portman di Londra, dove soltanto l’anno scorso 2590 bambini e ragazzi si sono sottoposti a trattamenti per la “transizione di genere”.
Keira ha riconosciuto che l’età di sedici anni, in cui lei iniziò la terapia, era troppo precoce per una scelta così radicale come la sua. Ha quindi accusato la clinica di non averla messa in guardia dai rischi cui andava incontro. Invece, dopo appena tre incontri, tutto il protocollo sanitario era già definito. “Non credo che bambini e giovani possano acconsentire all’uso di potenti farmaci ormonali sperimentali come ho fatto io”, ha dichiarato non molto tempo fa.
Poco dopo il pronunciamento dell’Alta Corte, la giovane britannica si è detta “contentissima” e convinta che la sentenza sul suo caso “proteggerà i giovani vulnerabili”. E ha aggiunto: “Vorrei che fosse arrivata prima che io mi imbarcassi nell’esperimento devastante dei bloccanti della pubertà. La mia vita sarebbe diversa oggi”. Quello condotto su di lei e su molti bambini e ragazzi è un “esperimento dannoso”, ha detto. “Queste medicine mi hanno veramente danneggiato in tanti modi”, ha aggiunto, definendo quella dell’Alta Corte non una “sentenza politica” ma un “giudizio sulla protezione dei bambini vulnerabili”, che “denuncia una cultura compiacente e pericolosa all’interno del centro nazionale che si occupa di curare i bambini e giovani affetti da disforia di genere”.
Le dichiarazioni più sorprendenti di Keira sono però queste: “Voglio appellarmi ai medici e ai professionisti perché creino dei servizi di salute mentale migliori per aiutare coloro che soffrono di disforia di genere a riconciliarsi con il proprio sesso. E ancor di più mi appello alla società, perché accetti coloro che non aderiscono agli stereotipi di genere e non li spingano in una vita di farmaci e occultamento di quello che sono veramente. Questo vuol dire fermare l’omofobia, la misoginia, il bullismo verso coloro che sono diversi”. La ragazza ha quindi ringraziato la generosità di tutti i donatori che l’hanno sostenuta nelle spese legali.
Venendo al merito della sentenza, i giudici dell’Alta Corte hanno stabilito che nessun medico può avviare trattamenti “innovativi e sperimentali” su minori di 16 anni, senza l’autorizzazione di un tribunale. Anche perché, spiegano, “è altamente improbabile che un bambino di età pari o inferiore a 13 anni sia competente a dare il consenso alla somministrazione di bloccanti della pubertà” o “possa comprendere e valutare i rischi e le conseguenze a lungo termine della somministrazione di questi farmaci”.
Saggista e giornalista professionista, è accreditato alla Sala Stampa della Santa Sede dal 2011. Direttore del webmagazine di informazione religiosa"Cristiani Today", collabora con "La Nuova Bussola Quotidiana"e"Pro Vita & Famiglia". Dal 2011 al 2017 è stato caporedattore dell’edizione italiana di "Zenit".
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