di Luca Ruggeri
La Banca d’Italia pochi giorni fa ha rilasciato le proprie previsioni circa l’andamento dell’economia italiana per il prossimo triennio (Proiezioni macroeconomiche per l’economia italiana) che non hanno riscosso grande interesse da parte della stampa nazionale (inducendo una certa perplessità in chi scrive).
Sottostanti le previsioni della Banca d’Italia vi sono alcune ipotesi, caratterizzate da un certo grado di ottimismo. In dettaglio:
- il persistere della pandemia per qualche settimana, un graduale rientro nella prima parte del 2021 e la chiusura della fase di emergenza entro il 2022 grazie all’arrivo dei vaccini;
- una crescita della domanda estera, da tempo l’unica vera forza trainante della nostra economia, del 5% annuo nel prossimo triennio;
- un basso rendimento dei titoli di Stato, quindi un minore onere di pagamento del debito pubblico, grazie alle manovre accomodanti poste in essere dalla BCE ed ad una più favorevole percezione del rischio l’Italia.
A fronte di queste ipotesi quali sono le previsioni della Banca d’Italia per il PIL del nostro Paese?
Il 2020 si chiude con un calo del 9% seguito poi da una lenta ripresa nel 2021 (+3,5%), nel 2022 (+3,8%) e 2023 (+2,3%). Rispetto alla previsione prodotta dalla Banca d’Italia in luglio si è migliorato il dato del 2020 grazie al buon andamento del terzo trimestre, “mentre nel successivo biennio la ripresa è spostata in avanti di alcuni mesi”. In estrema sintesi la Banca d’Italia si aspetta che recupereremo quanto perso quest’anno nell’arco di ben un triennio: una prospettiva assai diversa dalla ripresa a V inizialmente vagheggiata da più parti, certamente non un balzo felino ma solo un timido tentativo di ritornare sui livelli precrisi.
Quello sopra brevemente tratteggiato è il così detto scenario base, ma nel documento vengono prese in considerazioni altre ipotesi. In particolar modo, qualora la pandemia si presentasse all’inizio del 2021 con intensità pari all’aprile del corrente anno, le previsioni vedrebbero una significativa decurtazione (rispetto allo scenario base nel 2021 -1,6%, 2022 – 1%, 2023 +1,6%). Interessante inoltre notare che la Banca d’Italia presenta anche l’ipotesi di una scarsità di offerta di credito “su un livello prossimo a quanto stimato durante la crisi finanziaria globale”, evidentemente reputando l’ipotesi di una chiusura del rubinetto del credito da parte delle banche, a fronte della crescita dei crediti in difficoltà, non del tutto peregrina.
Le previsioni della Banca d’Italia permettono di affermare che la voluminosa spesa pubblica innescata dalla pandemia è servita esclusivamente a tamponare gli effetti a breve della crisi ma non ha alcuna possibilità di produrre ulteriori effetti positivi. Certamente non vi erano alternative ad un intervento significativo ed immediato ma ci si può legittimamente chiedere se non vi potessero essere vie diverse dalla pioggia di bonus e mancette di varia tipologia che hanno contribuito a portare il debito pubblico nazionale, ad ottobre, a € 2.587 miliardi.
Vi sono due ulteriori aspetti che meritano una brevissima riflessione.
Dal programma Next Generation EU ci si attende “un sostegno considerevole all’attività economica”, stimando che le misure inserite nel disegno di legge di bilancio e i fondi europei “possano innalzare il livello del PIL complessivamente di circa 2,5 punti percentuali nell’arco del triennio 2021-23”, un contributo senza dubbio importante ma certamente non il Santo Graal rappresentato agli italiani dall’attuale governo. Peraltro tale apporto rimane tutto da verificare, tanto che la stessa Banca d’Italia precisa che “il conseguimento di questi effetti dipende però dalla concreta specificazione degli ulteriori interventi, che si prevede vengano in larga parte definiti nei prossimi mesi e inclusi nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, e da una loro tempestiva attuazione”; un caveat che sembra palesare le perplessità circa la capacità della pubblica amministrazione di pianificare e gestire una cospicua massa di investimenti in tempi relativamente brevi.
La partita sulla gestione di questi fondi appare quindi importantissima ai fini della definizione dell’andamento della nostra economia nei prossimi anni; soprattutto dato che per quanto riguarda gli investimenti, necessari per crescere ma anche solo per non retrocedere ulteriormente, non sembrano esservi altre risorse disponibili.
Una ultima osservazione circa il lavoro, altro grande perdente di questa crisi. La Banca d’Italia stima un calo del numero di occupati dell’1,8% nel 2020, contenuto “grazie all’esteso ricorso alla Cassa integrazione guadagni”, e dell’1% nel 2021, una batosta sociale che si dovrebbe recupere nel 2022 (+1,6%) e 2023 (+1,2%).
Probabilmente leggendo questi poco entusiasmanti numeri trova una spiegazione lo scarso interesse dei mass-media inizialmente citato.
Ricercatore senior del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Economia, ha lavorato per oltre venti anni presso una grande banca italiana ed attualmente svolge la propria attività quale direttore generale presso un investitore istituzionale.
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