di Guglielmo Picchi

I complessi e dettagliati trattati dell’Unione Europea, accompagnati dalla pletora di piani d’azione, linee guida, libri bianchi, strumenti operativi, non possono surrogare l’assenza di iniziativa politica e di leadership all’interno dell’Unione stessa. La discussione, certamente importante, sulla prevalenza dell’approccio intergovernativo rispetto a quello comunitario non affronta né risolve la mancanza di azione da parte dell’Unione Europea.

Il caso del vaccino per il Covid-19 potrebbe diventare un altro caso emblematico e la riconferma che non esiste un approccio europeo se non sulla carta. L’Unione Europea ha nella sostanza fallito su più fronti e lo ha fatto sul piano politico. Vediamo perché.

Il dato iniziale è che all’interno dell’Unione Europea vi è un altissimo numero di centri di ricerca di base e applicata sia universitari sia privati, ad altissima specializzazione e con un capitale umano di altissima qualità, dedicati tra l’altro allo studio dei vaccini. Oltre a questo, moltissime case farmaceutiche sono europee. La domanda che nasce spontanea è come sia possibile che in un’area quale il territorio della UE, così densamente popolato di centri di ricerca avanzatissimi, non si sia riusciti a mettere a sistema tutto questo capitale e a raggiungere un vaccino europeo, che fosse tale grazie al contributo cooperativo e non concorrente di Germania, Francia, Italia, Spagna e degli altri 23 Stati membri?

La risposta è semplice: la Commissione o il Consiglio non sono stati in grado, per assenza di iniziativa politica, di spingere gli Stati membri a cooperare in tale direzione. Se consideriamo poi che questo tipo di sforzo di ricerca poteva essere finanziato in modo “illimitato”, è evidente come il fallimento sia ancora più eclatante. È un fatto che di fronte alla più grave pandemia che abbia colpito l’Europa in 100 anni, e con conseguenze economiche da guerra, l’Unione Europea non abbia saputo fare quello che i cittadini si aspettavano: una iniziativa  senza precedenti per ricercare e poi produrre e distribuire un vaccino contro il Covid-19.

Altro grave limite è stata la mancanza di volontà di cooperare con Paesi extra UE che chiaramente stavano lavorando ad un vaccino, come Russia, Israele o Stati Uniti.

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Infine è mancato totalmente, ma affidato solo ai piani degli Stati membri, un piano vaccinale europeo con linee guida uniformi per tutelare al meglio la popolazione.

Se quindi la vulgata racconta che l’Italia da sola, senza l’UE, non ce la possa fare, dovremmo forse replicare che, questa volta, è stata l’UE a non farcela da sola; anzi, nello sviluppo del vaccino è stata sostanzialmente assente e incapace di mettere a sistema tutte le risorse che aveva a disposizione. Queste non mancavano, ma non si è saputo o peggio voluto utilizzarle.

Rimane una considerazione di fondo: come pensiamo di far funzionare una UE che, nel momento in cui gli USA ed altre importanti economie mondiali rivedono le proprie catene di approvvigionamento, riportano produzioni critiche nel proprio territorio, o addirittura cercano una piena indipendenza dalla Cina (decoupling totale), non riesce a tutelare la salute dei propri cittadini per mancanza di leadership e di azione politica? Qui non serviva modificare trattati né scriverne di nuovi: no, serviva leadership politica che richiamasse tutti gli attori presenti sul territorio UE a collaborare alla ricerca, produzione e distribuzione di un vaccino anti-Covid tutto europeo.

Direttore per le Relazioni internazionali del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli. Deputato nelle legislature XV, XVI, XVII, XVIII e Sottosegretario agli Affari Esteri durante il Governo Conte I. Laureato in Economia (Università di Firenze), Master in Business Administration (Università Bocconi), dirigente di azienda bancaria.