di Alberto Basile
In questi giorni si sta celebrando in Italia la ricorrenza dei cent’anni dalla fondazione del Partito Comunista Italiano.
Come ha sottolineato Giancristiano Desiderio in un suo intervento sul blog di Nicola Porro, anche questa è stata un’occasione persa per esprimere un giudizio storico serio ed onesto sulle vicende del più grande partito comunista d’Occidente. Al contrario si è voluto celebrare il partito di Gramsci, Togliatti e Berlinguer spacciandolo per una forza riformista pienamente ancorata ai principi della democrazia liberale. Questa lettura ci sembra totalmente falsa e figlia di una volontà di mistificare i fatti per auto-assolversi e nascondere la portata illiberale e potenzialmente totalitaria del progetto comunista per lunga parte della propria esistenza.
In un altro articolo apparso sullo stesso blog a firma di Corrado Ocone si è sottolineato come il principale lascito del PCI sia “una visione gnostica della realtà: Bene contro Male, manicheismo, settarismo, delegittimazione morale dall’avversario”. Insomma, tutto il contrario di una visione pluralista della società e della dialettica politica.
Evidentemente non possiamo che condividere le analisi di questi due opinionisti ed aggiungere delle ulteriori considerazioni. Se da un lato non possiamo negare che, come in tutte le cose umane, ci sia stato anche qualcosa di positivo nella storia del PCI, d’altro canto vogliamo sottolineare anche altri aspetti negativi di questa vicenda politica oltre a quelli già citati.
Il PCI per decenni ha obbedito ai diktat sovietici, sacrificando totalmente l’interesse nazionale italiano in favore di quello di una potenza straniera nemica, il che si prefigura come un atteggiamento profondamente anti-patriottico. Inoltre la dirigenza e l’intellighenzia del PCI hanno volontariamente sabotato qualsiasi tentativo di fare luce sui crimini compiuti da comunisti nei confronti di nostri connazionali, come nel caso delle foibe o del ‘triangolo rosso’ in Emilia. Per non parlare dell’aperto sostegno di Togliatti e il PCI all’occupazione di Budapest da parte dei carri armati sovietici, con la conseguente feroce repressione delle rivolte operaie e studentesche per la libertà e l’indipendenza.
Probabilmente i fatti discutibili nella storia del PCI sono ancora più numerosi, di certo non è stata questa l’occasione per formulare un valido giudizio storico che riconsegnasse agli italiani una migliore comprensione delle opere di questa importante formazione politica e delle sue conseguenze sulla storia di tutti noi italiani. Concludo citando Bobbio, il quale osservava che “tutti i democratici sono antifascisti, ma non tutti gli antifascisti sono democratici”; e questo riteniamo si addica perfettamente al PCI, partito radicalmente antifascista ma mai veramente antitotalitario.
Classe 1988, dottore in Lingue straniere (Università Cattolica di Milano). Poliglotta ma sempre profondamente legato al proprio Paese, si reputa un liberale conservatore e realista. Lavora in ambito commerciale per un marchio italiano del lusso.
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