di Nathan Greppi
Il più grande problema che Mario Draghi dovrà affrontare potrebbe non essere né la crisi economica né la pandemia (che pure vanno affrontati con ogni mezzo), ma una questione che ci accompagna da decenni e che tuttavia non è mai stata presa molto sul serio né dai politici né dai media: la denatalità. Questa è la tesi di Maria Carella, docente di Statistica sociale e Demografia all’Università di Bari Aldo Moro, che non a caso l’ha illustrata non ai media italiani, ma in un’intervista al quotidiano francese “Le Figaro”.
La Carella ha ricordato che nel 2019 sono nati in totale 420.000 bambini in Italia, di cui 328.000 da entrambi i genitori italiani. Tutti questi nuovi nati erano 20.000 in meno di quelli del 2018 e ben 142.000 in meno rispetto al 2010. Un problema, quello del crollo delle nascite, che colpisce la maggior parte dei Paesi sviluppati ma l’Italia in particolare, tanto che secondo l’Eurostat già nel 2016 eravamo il Paese europeo con il tasso di natalità più basso; 1,34 figli per coppia, mentre per garantire un ricambio generazionale stabile il tasso di sostituzione deve essere di almeno 2,1 figli per coppia.
Secondo un’inchiesta uscita a gennaio sull’inserto “La Lettura” del “Corriere della Sera”, in Italia ci sono 151 morti ogni 100 nuovi nati. E nell’anno del Covid, la natalità è crollata ulteriormente: a 9 mesi dall’inizio della pandemia, le nuove nascite sono diminuite del 22%, passando a 1,27 figli per coppia, contro una media UE di 1,56 figli. Ciò porterà ad un ulteriore invecchiamento della popolazione, peraltro già in stadio avanzato: nel nostro Paese, infatti, per ogni 100 bambini dai 0 ai 9 anni ci sono 122 anziani nella fascia d’età 70-79 anni. Se nessuno interverrà per cambiare questo trend, si avranno sempre meno italiani in età lavorativa, a fronte di un crescente numero di pensionati da mantenere.
Ma come si spiega tutto ciò? In molti pensano che sia dovuto esclusivamente alla crisi economica e alla disoccupazione giovanile, che indubbiamente sono un freno per le giovani coppie che vorrebbero avere figli. Tuttavia, la crisi economica da sola non spiega tutto: la natalità in Italia si è sempre trovata sotto il tasso di sostituzione dopo il 1976, quando, stando ai dati della Banca Mondiale, la media era di 2,04 figli per coppia; mentre il tasso più basso l’abbiamo raggiunto nel 1995, quando era di 1,19 figli.
I fattori che hanno portato a questa situazione non sono solo di natura economica, ma anche e soprattutto sociale: Leonardo Becchetti, economista dell’Università di Roma Tor Vergata, ha spiegato nel febbraio 2020 a “Formiche.net”: “C’è una crisi delle relazioni, si investe sempre meno su questo fronte. Viviamo in una società che ha paura di mettersi in gioco, con tutte le responsabilità che questo comporta. Diciamo che c’è meno educazione sentimentale, le relazioni richiedono tempo, investimenti, risorse e coraggio, […] ma oggi le persone cercano sempre più affetto senza rischio, ripiegando magari sul cane o sul gatto, che dà affetto ma senza rischi”.
Sul piano storico, questa crisi demografica è anche dovuta a un cambio nella mentalità degli italiani, soprattutto dopo il boom economico: come spiega lo statistico Roberto Volpi nel suo saggio del 2014 La nostra società ha ancora bisogno della famiglia?, un tempo avere una famiglia numerosa era motivo di orgoglio e un valore fondamentale per il proprio status sociale. Ma con l’aumento della ricchezza e dei consumi, fare figli non venne più visto come un contributo alla società, bensì come un peso da mantenere. Sicuramente non aiuta il fatto che in Italia i giovani adulti lascino la casa dei genitori molto più tardi che in altri Paesi: stando ai dati del World Economic Forum, nel 2017 l’età media in cui nel nostro Paese i giovani andavano a vivere fuori dalla casa dei genitori era di 30 anni, contro una media UE di 26.
Si spera che il Governo Draghi avrà tra le sue priorità quello di provare a invertire questi processi: perché, come ha detto il giornalista de “Il Foglio” Giulio Meotti, “serve il ‘whatever it takes’ per salvare la natalità”.
Giornalista pubblicista, ha scritto per le testate Mosaico, Cultweek e Il Giornale Off. Laureato in Beni culturali (Università degli Studi di Milano) e laureato magistrale in Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale (Università di Parma).
Scrivi un commento