di Tamas Fricz
Alla domanda provocatoria posta nel titolo, ne aggiungerei un’altra: cosa tiene davvero insieme una cultura? La mia risposta: il suo spirito, il modo di pensare e il linguaggio che usa. Negli ultimi dieci o vent’anni, la mentalità e lo spirito che una volta definivano l’Europa e più in generale l’Occidente sono entrati in crisi. Ciò è più importante di qualsiasi altra minaccia materiale per il mondo occidentale. Per questa ragione – ed è quella cruciale – possiamo dire che l’Occidente è, se non già morto, almeno in pericolo mortale.
Naturalmente non possiamo trascurare nemmeno le minacce materiali e tangibili all’integrità europea, con le quali conviviamo da qualche tempo. In primo luogo vorrei menzionare la crescente immigrazione dal 2015 e le sue conseguenze: islamizzazione, terrorismo, cambiamento etno-nazionale; l’emergere di una sorta di Eurabia che non è più una semplice fantasia. I ricercatori stimano che attualmente, in Europa, il numero di persone con un retroterra islamico siano intorno al 6-7% per cento; secondo gli esperti, una volta che la proporzione di una minoranza etnica-culturale-religiosa in una popolazione sale oltre il 10-15%, i processi sono in gran parte irreversibili. Soprattutto se quella minoranza ha un tasso di fertilità molto più alto (cioè fa più bambini) della maggioranza nativa. Ci sono già molte città e quartieri dell’Europa Occidentale (per esempio Londra, Rotterdam, Parigi, Amburgo, Berlino, Vienna) dove la percentuale di musulmani e di persone proveniente da culture straniere è vicina al cinquanta per cento.
È vero che lo spostamento di cui sopra riguarda principalmente l’Europa Occidentale, per ora, mentre noi mitteleuropei o dell’Est ne siamo rimasti fuori. Ma non possiamo nascondere la testa sotto la sabbia e dire che quanto succede in Occidente non è affar nostro: prima o poi le città occidentali non saranno più sufficienti per contenere tutti i musulmani e allora essi cominceranno a diffondersi nella metà orientale del continente. Per non parlare del fatto che una delle visioni principali nella religione islamica vuole la conquista delle terre dei kuffar (“infedeli”) e la trasformazione del mondo in un grande califfato.
Naturalmente sappiamo che la migrazione di massa, in gran parte illegale, verso l’Europa non è un caso, ma che dietro c’è una volontà, ossia quella dell’élite finanziaria e del mercato globale. Ma sia la migrazione sia le ambizioni anti-nazionali dell’élite globale possono essere evitate finché lo spirito e la mentalità della cultura europea, radicata nella filosofia greca, nel pensiero giuridico romano e nelle norme morali del cristianesimo, sono preservati. Questa è la base culturale che si è sviluppata nei secoli in una civiltà, come direbbe Oswald Spengler, che ha plasmato l’Europa e il più ampio mondo occidentale (americano, canadese, australiano, ecc.) fino alla fine del XX secolo.
Sono convinto che l’Occidente sia capace di resistere anche alle più grandi minacce materiali fintanto che conserva una mentalità e uno spirito che le permettono di vedere e comprendere la natura e il significato della sfida, e quindi di trovare e creare risposte appropriate che prendono la forma di concrete misure sociali, politiche, economiche. La rinascita dopo le due guerre mondiali ne è una prova impressionante.
Ma qui e ora, nel ventunesimo secolo, l’Europa e l’Occidente sono in reale pericolo proprio perché la loro spiritualità e il loro carattere intellettuale, che per secoli gli hanno permesso di raggiungere i più alti livelli di realizzazione scientifica, politica, culturale, economica, artistica, letteraria ecc. rispetto alle altre civiltà, si stanno disintegrando. E quando questa spiritualità comincia a disintegrarsi – come purtroppo vi stiamo assistendo – allora l’Occidente perde il suo potere e il suo primato. Inizia allora davvero il processo che Spengler chiamava il “tramonto dell’Occidente”. L’agghiacciante profezia, quando fu formulata negli anni ’20, era forse prematura: nel secolo scorso la sfera culturale che lui chiamava faustiana era ancora capace di rinnovarsi, ma ora ciò di cui scriveva, con lucida preveggenza, sta divenendo realtà.
Ma quali sono lo spirito e la mentalità che caratterizzano l’Europa e l’Occidente?
Forse il più importante è lo spirito critico, che viene dalla filosofia greca: la capacità di guardare, analizzare e giudicare dall’esterno ciò che accade nel mondo. Creiamo concetti per nominare le cose, conduciamo indagini scientifiche, non accettiamo spiegazioni preconfezionate su due piedi, le mettiamo in discussione, cerchiamo connessioni logiche e causali con gli eventi nell’ambiente che ci circonda e in quello più ampio.
Di conseguenza, l’europeo non è un suddito dipendente e obbediente di qualche autorità, non accetta spiegazioni e interpretazioni ex cathedra, continua a fare domande e, se non trova le risposte ragionevoli, rompe con esse e cerca altre risposte. Questo a sua volta fa nascere lo spirito del dibattito che è anche una caratteristica dell’uomo occidentale; dall’agorà greca ai dibattiti parlamentari al discorso scientifico, gli argomenti si sollevano, si confrontano e si scontrano, e il precetto di Montesquieu sulla libertà di espressione si applica a tutte le opinioni e posizioni.
Lo spirito critico, il pensiero logico, la ricerca di causa ed effetto, la cultura del dibattito, tutto ciò protegge gli occidentali da credenze, irrazionalità, asserzioni indimostrabili, e permette una sorta di realismo, un modo oggettivo di pensare al mondo. Queste stesse capacità intellettuali che hanno permesso e sostenuto l’incredibile sviluppo dell’Occidente stanno cominciando a dissolversi davanti ai nostri occhi.
Ma dobbiamo capire che non si tratta di un processo naturale di “invecchiamento”, non dell’inevitabile fase finale nel processo di nascita-crescita-morte. È tutto manipolato, imposto e stimolato da grandi ed estese reti globali. Al suo centro, il potere recondito, l’élite del mercato finanziario globale, da decenni alleatosi con la rete liberal internazionale che propaga il discorso politicamente corretto (PC) nel settore sociale, culturale, scientifico, educativo, politico, privato ecc., aprendo la strada alla complessa società mondiale immaginata nel Grande Reset.
Questo linguaggio (o neolingua) politicamente corretto, che viene introdotto nella comunicazione sociale dalla rete globalista con un’aggressività sorprendente, ha lo scopo di eliminare e sradicare l’ultima e più forte base dell’europeismo e dell’occidentalismo: il suo spirito e il suo modo di pensare. I liberal-comunisti eliminano il pensiero critico nelle università, nei laboratori di ricerca, nelle scuole, nella cultura, nei posti di lavoro, nelle piattaforme sociali, e creano invece “spazi sicuri” dove lo spirito critico, il dibattito, la messa in discussione non possono penetrare. Creano gruppi sociali protetti di cui si possono dire solo cose carine (vedi i gruppi LGBTQI), stabiliscono che tutte le persone debbano essere sempre uguali, così escludendo la possibilità di valutazione e qualificazione. Ci sono solo rivelazioni e giudizi, nessun argomento o prova. La storia è abolita perché pensare alla storia porta alla logica, a riconoscere causa ed effetto in relazione al presente; al suo c’è una cultura della cancellazione, la costruzione di un presente senza passato. Stanno edificando un mondo nuovo e indiscutibile in cui il linguaggio viene radicalmente rimodellato, e chiunque non si conformi al linguaggio di questo brave new world viene eliminato con i mezzi più brutali, cancellato dal sistema liberal-comunista. È evidente come l’islam sia caratterizzato dagli stessi elementi: la proclamazione di rivelazioni irrefutabili, l’enunciazione di proposizioni definitive e indiscutibili. Tutto si tiene.
I poteri forti sanno bene che l’obiettivo finale è lo sradicamento dello spirito critico dell’Occidente. Fatto ciò, credono di essere invincibili. E hanno ragione. L’unica cosa che può salvare lo spirito europeo è una critica dura, persino spietata del nuovo regime: il liberal-comunismo. Una critica che dovrà venire soprattutto dall’Europa Centrale.
(Questo articolo è tratto dal quotidiano ungherese “Magyar Nemzet”)
Politologo, consigliere scientifico del Centro Ungherese per i Diritti Fondamentali.
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